"C'era una volta" - l'unico Agatha Christie che non consiglierei

"Ti sei proprio presa con Agatha Christie, eh?" commenta Adriano mentre consegna la spesa a Virginia. Ormai è quasi un altro anno che sua sorella passa segregata in casa vittima dell'agorafobia, e quasi un altro anno che segue i consigli della terapeuta via Skype. Nessuno dei due, ovviamente, ha voglia di affrontare questo argomento, così per dire qualcosa, vedendola fare su e giù per l'appartamento e credendola nervosa, butta lì quelle parole avendo visto il libro appoggiato sul tavolino da caffè del salotto.

"Come?" ribatte lei. Poi segue il suo sguardo "Ah sì quello! Mi ero proprio presa, sì... questa è stata decisamente un'estate di gialli e credevo che l'avrei chiusa in bellezza con un nuovo Agatha Christie. E invece..."

"...e invece?"

"E invece mi ha deluso, una mezza merda, veramente. Che amarezza...ma non importa, perché la stagione dei gialli si è conclusa ed è iniziato un nuovo periodo! Si torna a scuola! Dalla settimana prossima intendo fare tantissime cose, aspetta che te le dico tutte..."

Pur non usando il termine di Virginia - ma volendolo usare - è difficile avere un'opinione diversa dalla sua riguardo a C'era una volta, romanzo giallo di Agatha Christie pubblicato nel 1944. Il genere preciso di quest'opera sarebbe "giallo storico", ed è proprio qui che risiede tutto quello che non va.

Sposata in seconde nozze ad un archeologo e appassionatasi della materia, la Christie aveva viaggiato e letto molto riguardo all'Antico Egitto. Un giorno decise di ambientarvi un suo romanzo. Nella prefazione scritta da lei stessa, chiarisce come qualsiasi epoca sarebbe andata bene per l'ambientazione di quella storia, ma che la lettura di alcune antiche lettere di un padre di famiglia che si lamentava del trattamento della sua concubina da parte dei suoi famigliari l'aveva ispirata.

Purtroppo.

Quello che ne risulta non è un romanzo mediocre. Sarebbe stato un romanzo mediocre se fosse stato ambientato nel periodo usuale per la scrittrice, ovvero il suo tempo contemporaneo. L'ambientazione nell'Antico Egitto ne fa un romanzo ridicolo. Soprattutto perché, nonostante l'ispirazione originale e anzi, dato che ogni epoca sarebbe andata bene, la Christie di fatto scrisse un romanzo con protagonista un dramma di famiglia più adatto alla borghesia inglese degli anni '30 o '40 che alla Tebe del 2000 a.C. 

Chi ha familiarità con gli altri romanzi dell'autrice ritroverà gli stessi tòpos dei personaggi di sempre, lo stesso modo di parlare - solo impastato con nozioni spicce di antropologia dell'epoca - con la stessa trama e anzi, un'impostazione di fatto banale e una soluzione prevedibile al limite dell'irritazione. La sottoscritta è sempre stata fregata da Agatha in ogni romanzo, fatta eccezione questa volta. Siccome la lettura di un giallo è essenzialmente uno dei pochi casi della vita, se non l'unico, in cui essere fregati è lo scopo ricercato, aver capito tutto già a metà è parecchio noioso. 

Trama: la giovane Renisenb è rimasta vedova ed è tornata con la figlia piccola nella casa del padre. Imhotep è un sacerdote del Ka, vale a dire un proprietario terriero che possiede tutto a patto di prendersi cura di una specifica tomba situata nella proprietà, e di compiere regolarmente i riti necessari ad assicurare la prosperità del defunto nel regno dei morti. Oltre a Renisenb, ha altri tre figli maschi: Yahmose, schivo e razionale, Sobek, estroverso e "testa calda", e il giovane viziato Ipy. In casa vivono anche le due mogli dei primi due, Satipy e Kait, entrambe di carattere diametralmente opposto a quello dei rispettivi mariti, e la vecchia madre di Imhotep, Esa, una vedova dalla lingua tagliente. Un giorno Imhotep porta a casa una concubina, un'ammaliante giovane che getterà lo scompiglio nella  famiglia. Poco dopo morirà, e la sua non sarà la sola morte...

Come potete intuire da questo abbozzo di trama, e come vi confermo io che ho letto tutto, non c'è nulla che differisca da un banale romanzetto alla Downton Abbey: un padre di famiglia dispotico, figli e mogli, una madre impicciona, poi l'arrivo di un'amante giovane e seducente che distrugge gli equilibri che, si scopre, non erano poi così stabili come si credeva. Senza le infarciture sull'Antico Egitto, sarebbe stato più che sufficiente. Con l'aggiunta di queste, il risultato lascia quantomeno perplessi. Non sono nemmeno sufficienti e sufficientemente accurate da giustificare una tale ambientazione, e tutto il resto evoca troppo una dimora signorile in qualche contea britannica per poter essere credibile al tempo dei faraoni. 

Leggete Dieci piccoli indiani, che ricalca l'impostazione della serie di morti a catena in un gruppo ristretto, ma che al contrario di questo romanzo è un capolavoro della Regina del Giallo.

[La voce narrante è un personaggio fittizio, così come tutti gli altri personaggi che interagiscono nel breve intreccio. Gli episodi sono frutto della mia fantasia, senza alcun legame con la realtà, pertanto rilassatevi e godete di questo chupito. Se è la prima volta che vi imbattete in questa rubrica e vi appassiona la parte romanzata, vi invitiamo a seguirla dal suo primo capitolo che potete trovare qui]

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