C’è qualcosa di magnificamente contraddittorio nella voce di Edda, e per accorgersene non c’è bisogno di seguire il cantautore milanese sin da quando, negli anni ’90, era il leader dei Ritmo Tribale: bastano pochi secondi, l’eco femmineo del suo timbro, coadiuvato da un corpus di testi in prima persona - nei quali egli si riferisce a se stesso come ad un’entità femminea - sempre crudi, concreti, impregnati di un realismo magico.
Per farsi un’idea di ciò che sarà la tappa al Serraglio di Milano, bastano invece poche note, un cenno melodico, qualche stralcio di testo de “Il Santo e il Capriolo”, traccia di chiusura del suo ultimo LP “Graziosa Utopia”, a cui è invece affidata l’apertura del live.
Il santo e il capriolo forse non sanno
è la stagione degli amori fuori
e voi vorreste
e voi vorreste farmi male e fuori
Basta una strofa e la voce strascicata di Stefano, pronta ad esplodere nel ritornello:
con te non ci annoieremo mai
non ci arrenderemo mai
noi ci ammaleremo mai
noi non dormiremo mai
non piangeremo mai
Basta questo, non solo perché in grado, con la sua forza emotiva, di farci dimenticare istantaneamente di qualche attimo d’attesa di troppo, speso tra le luci al neon rosa dei corridoi, tra le quali si riflette il fumo delle sigarette smozzicate di nascosto, e le sale ricreative del club, dove gli spettatori attendono frementi tra una “rullata” al calcio balilla e una birra chiara, ma anche perché “Il Santo e il capriolo” è un brano che ha in seno tutte le costanti della poetica e del nuovo corso di Edda: da primo la sua voce, tanto drammatica e vibrante quanto fragile e delicata, e successivamente gli arrangiamenti, mai così eleganti e cristallini, perfettamente eseguiti e valorizzati anche dal vivo.
Per l’intera durata del live Edda urla, biascica, si strazia, ulula il suo dolore alla luna, un lamento costante, come un canto ellenico di un Achille ferito, che vede nella ormai classica “Bellissima”, nella malinconica “Spaziale” e nella disperata “Coniglio Rosa” i suoi momenti di massima tensione.
Il pubblico di Edda è un pubblico affezionato, e nonostante la sua fanbase si sia ampliata notevolmente negli ultimi anni, non è difficile sentire il calore tipico che solo chi con un artista è cresciuto e che ha salutato il suo ritorno sul palco come un evento necessario, è in grado di comunicare.
In pochi si azzardano a cantare i pezzi ad alta voce, molti li canticchiano sommessamente, rispettosi dell’atmosfera sacra che si respira ai piedi del palco. Un’atmosfera che non sorprende, perché Edda, sarà per il suo vissuto recente, sarà per la sua fede Hare Kṛṣṇa, ispira silenzio, porta le persone attraverso la sola voce alla contemplazione, nonostante lo stile a volte sporco e graffiante, ma mai sgraziato. E’ quindi solo verso la fine del concerto, quando ormai quattordici/quindici canzoni erano alle spalle, e gran parte di “Graziosa Utopia” era stata suonata, che qualcuno si azzarda a invocare alcuni dei pezzi giù noti (“Emma” e “Madmoiselle” le più richieste). La band sembra però voler ripercorrere quasi esclusivamente i brani dell’ultimo album (che viene eseguito per intero, eccezion fatta per “Arrivederci a Roma”), con diversi accenni all’opera antecedente ( “Questa volta come mi ammazzerai”), prima di dare sfogo alla vena nostalgica dei presenti con il primo pezzo dell’encore: “Milano”, accolto dalle voci estasiate del pubblico, a cui seguono “Saibene”, “Madmoiselle” e “Dormi e vieni”, l’urlo di chiusura che riecheggia per tutto Il Serraglio e lascia qualche secondo di silenzio sospeso.
Edda esce dal palco, il pubblico batte le mani, riprende il vociare.
