Franz Kafka e il senso dell'assurdo

Questo clima tropicale spinge l'ardore poco oltre il bancone di un bar, accomodandolo sul tavolino. Di fronte a me una litrata di birra ghiacciata, con le gocce d'acqua che lottano contro la gravità sul bordo del boccale; rimango in fissa su queste gocce, il boccale, i clienti, Lloyd. Mi sento estraniato, rievocando con sottile nostalgia il mio esilio in villa e, nonostante capisca la bella tentazione di questo boccale, non riesco ad aver voglia di berlo. Apatia. Sento il macinar di caffè, urla e schiamazzi, l'Europeo, volti compiaciuti assolutamente lineari con la sintonia d'insieme, ed è proprio questo che mi angoscia. Sono le cinque di pomeriggio, e dalla vetrata di fianco una bella donna mora parla agitata al telefonino, coi suoi leggings e la canotta aderente. Decido di bere. Mi sento un po' strano. Devo bere. Non ne sono sicuro. Ansia. Mi volto verso il soffitto. Ma basta! Afferro il boccale e comincio una lunga sorsata. Non riconosco il sapore. Non scende. Non riesco a bere, mi cade il boccale dalle mani. Oh cazzo! Oh cazzo! Le mani! Dove sono le mani! Dei lunghi peli neri sono cresciuti sulle mie otto zampe, devo fuggire da questo panico. Devo volare via! Mentre volo attorno al bar, vedo e sento Dick sotto di me che cerca di calmarmi, mentre Lloyd cerca di farmi scendere con uno straccio. Sono confuso, vedo la gente fuori ma non riesco a uscire, sbatto, sbatto e sbatto contro la piazza di fronte al tavolino ma niente, una forza misteriosa mi ha rinchiuso qua dentro. Sfinito dalle testate crollo sul pavimento pancia all'aria, e seppure muovo tutte le zampe, non riesco a girarmi. Sono paralizzato dall'orrore, non capisco. Finché non sento un calore nel basso ventre che mi porta su un'altra dimensione, il mio letto e Jess che fa colazione dandomi il buongiorno. Sarà contenta Lara penso, ma l'angoscia mi rimane addosso e in questo momento mi sento molto vicino a Franz Kafka.

Franz Kafka nasce a Praga nel 1883 da una benestante famiglia ebrea di commercianti, che ne influenzano l'educazione. Franz è infatti il primogenito, quindi le più grandi ambizioni sociali sono legate a lui, che riceve un'attenta educazione scolastica e religiosa. È questo un peso che lo schiaccia sin da subito, e da cui non riuscirà mai a liberarsi completamente nel corso della sua vita; si instaura in lui la paura di non essere adeguato a tali aspettative creando una fragilità emotiva cui riesce a convivere grazie alla sua acuta intelligenza. Si laurea in Giurisprudenza nel 1906, e durante la frequentazione universitaria, si iscrive a diversi circoli letterari e politici, come era consuetudine in quegli anni di grande fermento culturale. È un ragazzo taciturno, introverso, capace di sorprendere con una sola frase, atteggiamento tipico delle persone altamente intelligenti che vivono un dramma interiore; in questi anni conosce Max Brod, la cui amicizia terminerà solo con la morte del nostro amico. Franz non rimane affascinato dal Naturalismo positivistico né tantomeno dal romanzo psicologico tradizionale, ama invece Flaubert, Dostoevskij, Goethe e tutto ciò che scandaglia la descrizione dell'Io senza dover per forza trovarne una spiegazione. Dall'incontro della ricerca di sé e questi autori, nasce il suo personale e accattivante stile dell'assurdo, dove la sua grandezza risiede nella negazione di un qualsiasi senso logico pur mantenendo una costante logica di significati, in cui i protagonisti si muovono in una realtà onirica in cui tutto avviene secondo una precisa logica, chiara a tutti i personaggi di contorno, tranne a loro che non ne capiscono il senso. I suoi protagonisti sembrano essere una trasposizione di sé stesso, dove la ricerca di questo senso viaggia di pari passo con la colpa, o l'esilio, che sono i temi centrali della sua opera. Una chiave di lettura ci viene fornita a partire dal 1910 dove comincia a comporre "Diari", uno zibaldone di spunti filosofici, appunti privati e riflessioni che accompagnano la sua vita, e ad esempio in un passaggio scrive di sé: "Senza antenati, senza nozze, senza discendenti. Tutti mi porgono la mano: antenati, nozze e discendenti, ma troppo lontano da me". Altro non è che un distacco dalla tipica cultura ebraica, in cui si fondono i tre elementi portanti e la sua volontà di volerne stare lontano, in un costante conflitto tra accettazione ed esilio da tutto questo, ma proprio l'esilio è il legame con le sue radici, salde nonostante l'assenza di una patria. Israele in quegli anni non esisteva, era ancora una terra libera dalla tirannia sionista. Per mantenersi fa l'impiegato presso una compagnia di assicurazione, scrive per passione e non per professione, chiedendo al suo amico Max di bruciare tutto alla sua morte, ma evidentemente non rispetta la promessa. Meno male! Tra il 1911 e il 1914 inizia a scrivere il suo primo romanzo, rimasto incompiuto, che Max intitolerà "America". Parallelamente la stesura di quest'ultimo, Franz compone due importanti racconti che racchiudono tutto l'universo kafkiano: "Il verdetto" e "La metamorfosi" dove al centro di entrambi vi è il difficile rapporto del protagonista con la famiglia, soprattutto con la figura paterna. Nel "Verdetto" il padre ordina al figlio di uccidersi, mentre in "La metamorfosi" il protagonista, un'altra figura di figlio, si trasforma in un gigantesco e mostruoso insetto, un parassita in casa della famiglia, in cui gode delle cure di una sorella. La tecnica narrativa è sorprendente, e riesce a ricreare e descrivere minuziosamente, e in modo assai naturale, situazioni assurde al limite del concepimento umano, ricreando un tale realismo che il lettore si cala nei panni del protagonista, soprassedendo sull'assurdità di ciò che sta accadendo. Nonostante ciò, a posteriori, sono evidenti i richiami personali dell'autore, che continua a vivere nel suo disagio interiore; tale disagio si riscontra anche nei passaggi più pratici della vita quotidiana e nel rapporto quasi conflittuale con le donne, facendo del nostro amico un eterno scapolo, con tutte le fantasie, anche carnali, che ne conseguono, ma ancora una volta in contrasto con le volontà paterne. L'apice narrativo dell'assurdo lo trova con i suoi romanzi incompiuti, "Il processo" del 1914 e "Il castello" del 1922. Nel 1919 compone "Lettera al padre", dove questo conflitto di essere figlio gracile ed introverso a cospetto di un padre forte ed autoritario emerge in tutta la sua forza, senza però cadere mai nel pietismo o nella protesta o nella psicanalisi di sé stesso, ma risulta piuttosto un lucido tentativo di trovare una spiegazione all'assurdo che lo circonda. A tal proposito mi sembra eloquente un passaggio: "Se io mi mettevo a fare qualcosa che non Ti piaceva, e Tu mi predicevi l'insuccesso, il rispetto della Tua opinione era tale che l'insuccesso seppure rinviato era inevitabile [...] Perdevo così la fiducia nelle mie azioni. Io potevo fruire di ciò che Tu davi, ma solo nella vergogna, nella stanchezza, nell'impotenza, nel sentimento di colpa. Posso esserTi grato come un mendicante, non con quanto ho compiuto". A condire la sua situazione già difficile, ci pensa la tubercolosi che gli viene diagnosticata nel 1917 e che lo spegne nel 1924 in un sanatorio nei pressi di Vienna.

[Attenzione: La voce narrante di chupiti d'annata è un personaggio fittizio, così come tutti gli altri personaggi che interagiscono nel breve intreccio della rubrica, tutti liberamente tratti da film cult. Gli episodi sono frutto della mia fantasia, senza alcun legame con la realtà, pertanto rilassatevi e godete di questo chupito. Se è la prima volta che vi imbattete in questa rubrica e vi appassiona la parte romanzata, vi invitiamo a seguirla dal suo primo capitolo che potete trovare qui]

Leave a reply

*