Il Piccolo Principe - Spunti di riflessione (parte 3)

Ripartiamo da dove eravamo rimasti e dunque dal capitolo XV. Il piccolo principe in questo capitolo arriva su un pianeta abitato da un geografo. Il geografo sembra non sapere nulla del suo pianeta. Questi infatti lavora chiuso nel suo ufficio e non ha mai visitato il pianeta: per questo sarebbero necessari degli esploratori, ma il geografo non ne ha trovati. Con questo discorso l'autore potrebbe volerci dire che la conoscenza teorica necessita di quella pratica per evolvere. La pura teoria che prescinde dalla pratica è destinata a fallire. Dopodiché ci sarà un breve scambio di battute sul tema del tempo, su ciò che è eterno e su ciò che è effimero. Mentre per il geografo ciò che è importante è ciò che è eterno, per il piccolo principe è ciò che è effimero ad esserlo, proprio in virtù del fatto che è destinato a finire.

Il pianeta successivo finalmente sarà la Terra. Il piccolo principe noterà che qui convivono tutte le categorie di persone che aveva conosciuto sui pianeti precedenti, ma il primo essere vivente con cui si relaziona è un serpente. Il bambino infatti è atterrato in un deserto africano. Una delle prime domande che fa al serpente dà luogo ad uno scambio estremamente significativo. Il principe chiede

dove sono gli uomini? Si è un po' soli nel deserto...

La risposta del serpente è iconica:

Si è soli anche con gli uomini.

Le letture di questa frase sono molteplici. Il serpente potrebbe voler dire che lui si sente solo anche in compagnia di uomini, magari perché questi ultimi lo reputano pericoloso e quindi lo scansano, o magari perché appartengono a due specie diverse. Un'altra lettura, a mio avviso molto più interessante, è che ci si può sentire soli anche quando si è in compagnia. Non basta essere insieme a qualcuno per non sentirsi soli, ma è necessario qualcos'altro. Ma che cosa? Probabilmente l'autore allude all'affetto. Se siamo in compagnia di persone che non comprendono le nostre emozioni, che non capiscono e non condividono i nostri pensieri, le nostre idee, i nostri modi di fare, che ci fanno sentire sbagliati o fuori posto, allora ci sentiremo soli anche se siamo in compagnia. Per non sentirsi soli è necessario non essere soli emotivamente: sapere di avere qualcuno su cui contare, essere amati e amare, avere qualcuno che ci comprenda e ci accetti per quello che siamo. In questo modo non ci si sente soli neppure quando di fatto lo si è. In questo contesto il deserto può essere metafora dell'aridità emotiva, della mancanza di empatia e di affetto ed è per questo che il serpente si sente solo.

Segue un breve scambio di battute su tema del potere e si ritorna anche su quello dell'apparenza. Il piccolo principe durante il suo viaggio ha incontrato molti personaggi che si definivano potenti. Il re e l'uomo d'affari per esempio vantavano il loro potere, la loro importanza. Il serpente invece mette a nudo la loro fragilità. Lui, pur essendo un animale piccolo, senza le zampe, che striscia sul ventre, ha il potere di uccidere con un solo morso. Si ritorna anche qui al discorso dei costrutti sociali. Le norme sociali conferiscono il potere, ma questo non è un potere vero. Il vero potere è quello della natura, quello di cui dispone ognuno di noi: si ha una sorta di ritorno alla situazione primitiva in cui il potere è ancora basato sulle concrete capacità di ognuno. Il serpente si congederà con una frase sibillina che dobbiamo ricordare per meglio comprendere il finale del libro. Il serpente dirà:

Colui che tocco, lo restituisco alla terra da dove è venuto. Ma tu sei puro e vieni da una stella... Mi fai pena, tu così debole, su questa Terra di granito. Potrò aiutarti un giorno se rimpiangerai troppo il tuo pianeta. Posso...

Il piccolo principe lo interrompe credendo di aver capito.

Proseguendo a camminare nel deserto, il principe incontra un fiore e a questi chiede come trovare gli uomini. Anche in questo caso la risposta è metaforica:

Non si sa mai dove trovarli. Il vento li spinge qua e là. Non hanno radici e questo li imbarazza molto.

Gli uomini vengono visto dal fiore come esseri alla sbando, in balìa dei venti. Non hanno radici. Questo potrebbe voler dire molte cose: che non sono coerenti, sono contraddittori, cambiano idea così come una banderuola gira a seconda del vento. Oppure che non hanno rispetto delle tradizioni o che rinnegano la propria natura selvaggia, che non si sentono più parte della natura, ma qualcosa di altro, diverso e superiore.

Parlando dall'alto di una montagna il principe sento l'eco e si convince siano gli uomini. Tuttavia si sente ripetere tutto quello che dice e si convince che gli uomini manchino completamente d'immaginazione. Qui si richiama il tema affrontato all'inizio del libro attraverso il disegno del serpente che mangia l'elefante. Anche il principe come l'aviatore considera gli adulti strani e monotoni, tanto da non considerare bizzarro che qualcuno possa ripetere tutto quello che lui dice.

I capitoli successivi sono i più iconici e densi di significato. Il principino arriva in un giardino di rose e ci rimane molto male poiché pensava che il suo fiore fosse unico. Proprio in quel momento arriva la volpe e il suo discorso verte proprio sul tema dell'unicità. La volpe spiega al principe che unicità non vuol dire che non esistano esemplari esteticamente simili l'uno all'altro. Essere unici per qualcuno vuol dire creare dei legami. Affinché si creino dei legami è necessario tempo, pazienza e dedizione. I legami non vengono da sé, ma vanno costruiti e mantenuti prendendosene cura. Ed è proprio questo tipo di legame che rende unica la rosa per il piccolo principe, nonostante esistano milioni di rose nell'universo. Il fiore e il principe infatti sono legati da un sentimento e quindi, anche se tutte le rose si assomigliano, la rosa per cui il principe prova affetto e amicizia non potrà mai essere confusa con un'altra e in questo senso sarà unica proprio in virtù del sentimento che entrambi hanno coltivato. Vale anche viceversa: per il fiore tutti i ragazzini si assomigliano. Ma il piccolo principe non potrà mai più essere confuso con un altro ragazzino perché ormai lui e il fiore sono uniti dall'amicizia che li lega.

È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.

Anche in questo caso il comportamento degli uomini viene aspramente criticato, La volpe infatti ha notato come le persone si siano abituate a comprare tutto e la vita frenetica che conducono non permette loro di coltivare le emozioni e i sentimenti. Per questo, non potendo comprare gli amici, rimangono soli. Torna quindi la critica al capitalismo, al materialismo e ai costrutti sociali che, invece di favorire il legame tra gli uomini, lo annientano o lo riducono a mero utilitarismo finalizzato alla soddisfazione di un bisogno.

La volpe prosegue spiegando al principe come vengono creati questi legami e che conseguenze hanno. Gli esempi sono molto toccanti e di una dolcezza disarmante. Sostanzialmente ciò che definisce un legame come tale è la narrazione comune che si viene a creare tra due individui. Questa narrazione comune si fonda su riti, aspettative, promesse che contribuiscono a rendere speciale un momento, una giornata o un periodo, e a distinguerlo da tutti gli altri. Il piccolo principe, dopo questa lunga discussione, si pone un dubbio molto importante: perché dovremmo desiderare di creare questi legame se poi la fine degli stessi ci fa soffrire? In sostanza: vale la pena creare qualcosa con il rischio che prima o poi finisca? E la risposta è un sonoro sì. La volpe si fa portavoce del pensiero dell'autore che in altra sede afferma:

Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza. Farsi primavera significa accettare il rischio dell’inverno. Farsi Presenza, significa accettare il rischio dell’Assenza.

Nell'idea di Saint-Exupéry vale sempre la pena correre il rischio: questo innesca l'azione, mentre la rinuncia per paura non fa altro che paralizzare e blocca così l'evoluzione costante tipica dell'esistenza umana.

Alla partenza del piccolo principe infatti la volpe, ormai addomesticata dal ragazzo, soffrirà molto e piangerà, ma, fedele al suo credo, è felice per quello che è nato tra lei e il ragazzo e, nonostante la distanza, la loro narrazione comune continuerà per sempre: basterà un campo di grano a far tornare in mente alla volpe i capelli biondissimi del principino. L'animale saluta quindi il bambino con la frase in assoluto più famosa del libro:

Non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi.

Questa due semplici frasi a mio avviso racchiudono l'intero messaggio che vuole veicolare il libro. Nonostante siano frasi molto inflazionate e molte persone siano stufe di sentirle, secondo me ricoprono un'importanza tale da non essere mai banali o scontate.

La prima parte richiama un po' la massima del filosofo Blaise Pascal secondo cui "il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce". Questa è una grande verità. L'essere umano spesso è contraddittorio e spesso i suoi comportamenti non sono logici e razionali bensì sono mossi dalle emozioni. Comprendere le emozioni tuttavia non vuol dire essere in grado di modificarle. La ragione sulle emozioni ha ben poco spazio di manovra. Per agire sulle emozioni sono necessarie altre emozioni: si può dire che abbiano infatti una loro logica interna per la quale la razionalità canonica si rivela inutile. La volpe dunque ci sta dicendo che dobbiamo dare spazio e anzi la priorità al mondo emotivo rispetto a quello razionale. È il mondo emotivo che ci permette di vedere le cose nel modo giusto, e non i freddi calcoli razionali.

La seconda parte è strettamente legata alla prima da una sorta di chiasmo. Agli occhi, organi deputati alla vista, si oppone la vista del cuore. Gli occhi infatti si rivelano inutili poiché ciò che è essenziale, ovvero le emozioni e i sentimenti, sono invisibili. Ciò che è essenziale deriva dal cuore e non può essere visto con gli occhi (che possono essere interpretati anche come gli occhi della ragione). Questo ragionamento mi fa venire in mente una bellissima frase del fisico Carlo Rovelli. Nonostante abbia votato la sua vita allo studio della leggi fisiche, in un suo articolo scrisse:

Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza.
Questo a sostegno del fatto che la ragione, per quanto importante sia, ad un certo punto si ferma e non può travalicare nel mondo delle emozioni che non le compete. Ed è precisamente questo secondo campo che, secondo la volpe, va tenuto maggiormente in considerazione.
C'è un ulteriore interpretazione del rapporto cuore e ragione che secondo me ben si inserisce nel discorso della volpe e si lega alla frase di Rovelli: ci sono alcune volte infatti in cui, durante un dibattito, più che avere ragione è importante salvaguardare i sentimenti e le emozioni dell'interlocutore. Avere ragione dunque non è sempre l'obiettivo più importante da perseguire in una discussione.
Concluderei così questa terza parte dell'analisi del piccolo principe e vi do appuntamento alla prossima settimana con la quarta ed ultima!
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