Le scarpe della Lidl

Le scarpe della Lidl fanno schifo, l'elogio dell'estetica brutta associata alla povertà. Bingo!
Funziona dannatamente bene, perché cavalca il brand, la parte emotiva del cliente medio della famosa catena, che è riuscita a centrare perfettamente la mossa del marketing: siamo poveri, siamo tanti, siamo community, esistiamo e diventiamo ambassador. Genio vero. Ma possiamo accettare l'ennesima porcata senza conati di vomito? Certo, molti ci riescono, altri meno, io personalmente no.
Mi sono rotto i cosiddetti di queste paraculate che, basandosi sul sentiero comune dello status sociale (qualunque), ci propinano e fomentano l'ennesima caduta di costume. Immagino sia un difetto culturale che rispecchia quest'epoca, che per accettarsi guarda al passato per cercare giustificazione e conforto, in un parallelismo che ormai non regge.
Mi spiego meglio. Non si può negare che la classe povera sia sempre esistita, però prima era in grado di rispecchiarsi in se stessa attraverso la propria cultura, che fondamentalmente era quella contadina; i saperi tramandati, i rimedi casalinghi, la cucina, l'abbigliamento, le case. Il boom economico prima e il consumismo poi, hanno spazzato via questi valori, sostituendoli con la tecnica e il marketing emozionale che strizza l'occhio al passato, fino ad arrivare alla sostituzione del costume, sovrapponendo i due mondi e cancellando di fatto le distinzioni culturali.
La cara Provvidenza che lascia spazio al futuro dell'avanguardia della tecnica, dei beni materiali e dei modelli da cavalcare, il consumismo e il benessere alla portata di tutti hanno livellato verso il basso la cultura di massa. I palazzoni di periferia, i parchi squallidi, cemento a perdita d'occhio, abbandono sociale, edulcorato dalle immagini, dagli appagamenti e condivisioni social. Succede quindi che ormai siamo abituati al brutto, al nulla e senza radici.
Perché il populismo vince? Perché il negazionismo vince sulla ragione? Perché ci hanno tolto le nostre basi, la nostra cultura, il nostro sapere; rimangono le balle, i finti rimedi della nonna con i quali possiamo armarci contro i vaccini e Big Pharma. Chiaramente è una forma di pazzia, favorita dalla mancanza di strumenti che possano interpretare i cambiamenti, l'evoluzione; vince l'angoscia perché è l'unica cosa cui possiamo appigliarci per trovare risposte semplici a portata quotidiana.

Non siamo innocenti, bensì complici.

Le scarpe della Lidl fanno schifo perché rispecchiano la povertà nella sua accezione moderna: brutte rispetto al mercato di riferimento, sicuramente fatte male, cafone ti urlano in faccia quanto facciano schifo. Perché la povertà ha preso questa deriva scadente? Cibo scadente, case scadenti, tecnologia scadente, musica scadente, estetica scadente; insomma, le cose dei poveri sono brutte, squallide. E su questo squallore si sta costruendo un impero sconfinato: le unghie finte, i tatuaggi di dubbio gusto, i glitter ovunque, le scarpe con la zeppa interna, le cover dei cellulari, i ristoranti e le pizzerie con la TV accesa e via così all'infinito.
Ormai è un gusto assodato, tanto che non ci si fa più caso, anzi, fa strano il contrario.
Per osmosi, anche i pensieri diventano squallidi, le parole, i modi, le mode. Rincorriamo l'ultima novità, facciamo rate per l'auto, il cellulare, le vacanze, il matrimonio, ma guai a leggere dei buoni libri o interessarci anche di cultura popolare, come il cinema o la musica; non abbiamo più il senso critico, troppa semplificazione ci ha tolto il piacere della qualità, che ormai è difficile da comprendere.

Le scarpe della Lidl fanno schifo per questi e probabilmente mille altri motivi, ma rimane una certezza: le scarpe della Lidl fanno schifo.

Chiaro il concetto?

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