Ieri, domenica 30 agosto 2015, si è spento Oliver Sacks. So che molti di voi avrebbero preferito un articolo in memoria di Wes Craven, tuttavia alla luce della morte di Andrea Soldi, deceduto per infarto durante un TSO e dato il mio interesse incolmabile per le neuroscienze e la psicologia, non posso far altro che scrivere queste poche righe di tributo per colui che reputo il miglior neurologo al mondo.
Giustamente per quelli di voi che masticano a fatica l'argomento, le neuroscienze si occupano pressapoco di studiare le varie patologie, genetiche o neurodegenerative, che colpiscono i tre principali organi dell'encefalo (cervello, cervelletto e tronco encefalico) e in generale l'intero sistema nervoso centrale. Si può dire che a livello medico e scientifico le neuroscienze sono tra le discipline più complicate visto che ancora oggi, nonostante strumenti all'avanguardia quali MRI (Risonanza Magnetica) e CT (Tomografia computerizzata), ci sono miliardi di questioni irrisolte che gruppi di ricercatori in tutto il mondo provano a studiare con esperimenti e test più o meno efficaci.
Dopo questa breve premessa è doveroso segnalare come Oliver Sacks, classe 1933, sia da sempre stato un outsider della neurologia. Sviluppando sin da giovanissimo una passione maniacale per la chimica e gli elementi della tavola periodica, laureatosi ad Oxford nel 1954, scelse poi di proseguire la sua carriera prendendo una seconda laurea in medicina e chirurgia e dedicandosi di lì in poi alla neurologia. Il suo approccio al misterioso encefalico ha dello straordinario: essendo il primo a riconoscere una stretta connessione tra disturbo, percezione e guarigione, Sacks decide di sua volontà di sperimentare in gioventù diversi tipi di droghe (principalmente allucinogeni e LSD, si veda il libro "Allucinazioni", in cui per altro tratta anche di religione e misticismo) per entrare direttamente in sintonia con i suoi pazienti, e capire la loro vita quotidiana.
Il primo studio di Sacks è infatti incentrato su una patologia, l'Encefalite letargica1 per la quale tuttavia fu necessaria la somministrazione di un farmaco (il Levodopa). Sacks però non si accontenta di approcciare una malattia fino ad allora giudicata incurabile, ma inizia a interessarsi delle più disparate patologie del sistema nervoso centrale. E mentre inizia la stesura del suo primo libro, "Awakenings", allarga il suo campo di studi a ogni casistica particolare di cui soffrono i pazienti che richiedono il suo consulto: epilessia, schizofrenia, sindrome di Tourette, amnesia, cecità improvvisa, disturbi percettivi, Parkinson, morbo di Alzheimer e ritardo mentale sono solo alcune delle malattie con cui Sacks ha a che fare quotidianamente. Fino a qui non vi sembrerà affatto un personaggio di spicco rispetto ai suoi colleghi, tuttavia sono sicura che vi si aprirà il mondo grazie a questa sua citazione:
I love to discover potential in people who aren’t thought to have any.
Perché sì, Sacks prima ancora di essere uno scienziato, è stato il più grande esempio di come medicina, psichiatria, empatia e umanità possono convivere serenamente nella stessa persona. Al di là del suo impegno costante nel compilare quotidianamente report dettagliati di esperimenti, progressi, cambiamenti e poi riproporli in prosa in pubblicazioni di carattere scientifico alla portata di tutti, egli è sempre stato il medico che realmente si prende cura del suo paziente.
Il suo collega Dr. Orrin Devinsky ha ricordato Sacks come un uomo che:
viveva in un mondo differente rispetto a quello della medicina moderna [...] se un paziente necessitava di una visita di tre ore, egli dedicava tutto il tempo necessario per una più chiara comprensione dell'insieme. Oltretutto se riteneva opportuno per una maggior comprensione del caso vivere a stretto contatto con il paziente, sul luogo di lavoro, in casa, nella sua quotidianità, non aveva reticenze nell'impiegare il suo tempo per capire la situazione nel complesso e trovare una soluzione non convenzionale 2
Alla luce di questa dichiarazione, derivante da un amore incondizionato per la zoologia e l'evoluzionismo studiati a Oxford, non si può che apprezzare un medico che, come una mosca bianca, ha avuto davvero a cuore la salute e il benessere dei suoi pazienti, senza cercare i moderni palliativi che danno psicofarmaci e sostanze, rifiutando categoricamente la svolta "monolitica" presa dalla neurologia moderna e contemporanea. Potrei citare centinaia di esempi, tutti per altro raccolti nella sua ampia produzione letteraria, che portano tuttavia ad un unico concetto: per Sacks la realtà non è altro che una costruzione del nostro cervello, un palcoscenico che ci permette di agire in modo funzionale, coerente ed efficace per un unico fine, la sopravvivenza. Ma qualora subentrino delle problematiche, il nostro stesso cervello entra in contatto con una realtà differente, che non può essere modificata se non grazie a degli "stratagemmi" che un bravo neurologo deve suggerire al paziente. Nei suoi libri troviamo casi clinici curati con ottimi risultati grazie alla musicoterapia, soprattutto per pazienti con la Sindrome di Tourette ("Musicofilia / Racconti sulla musica e il cervello"), soluzioni pratiche per ridare una vita normale al paziente ("L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello"), adattamenti del quotidiano al bisogno specifico del singolo per minimizzare i sintomi della sua sofferenza genetica ("L'isola dei senza colore" e "Vedere voci, un viaggio nel mondo dei sordi").
Ma se credete che il genio di Sacks si esaurisca con una applicazione di una medicina "vecchia scuola" che tiene conto davvero del paziente e del suo benessere prima di ogni altra cosa, il vero e più forte motivo per cui la sua scomparsa è purtroppo da ritenersi un gravissimo lutto sia per il mondo della scienza che per l'intero mondo ormai privo di umanità, vi sbagliate. Forse non sapete infatti che Oliver Sacks è egli stesso un malato salvato dai suoi pazienti: egli non si vergogna affatto di approfondire la sua cecità in un saggio ("L’occhio della mente"), né tantomeno di soffrire di prosopagnosia (condizione neurologica che impedisce di riconoscere i volti delle persone) o che suo fratello fosse schizofrenico. Probabilmente la sua grande ironia e il vero amore per la sua professione l'hanno portato a sconfiggere in primis i suoi "fantasmi" interiori, condizione non solo sufficiente ma necessaria per dedicare la propria vita agli altri.
Empatia, compassione e rispetto del prossimo e della sua diversità sono in sunto soltanto alcune delle cose che chiunque di noi dovrebbe imparare da Oliver Sacks, che festeggiava i suoi compleanni con regali inerenti al numero dell'elemento chimico di riferimento e che, alla diagnosi di un tumore allo stato terminale il 19 febbraio, è comunque stato in grado di scherzare dicendo:
quasi certamente non vedrò il mio compleanno al polonio (84esimo ndr) ma di certo non me ne dispiaccio data la sua radioattività. Mi basta avere il mio pezzo di berillio (il 4to elemento) come ricordo della mia infanzia, per farmi pensare allo splendore delle stelle, alla bellezza racchiusa nei numeri e ai miei da sempre amati metalli.
Ciao Oliver, sei riuscito a mantenere la tua coerenza, ironia e tenacia fino alla fine, lasciandoci nel tuo anno di piombo, notoriamente tossico per il sistema nervoso centrale.
Per chiunque volesse approfondire l'argomento sulle allucinazioni e percezione, allego l'intervento video sottotitolato di Sacks per ted.com
1 dal libro "Awakenings" è stato girato un film omonimo nel 1990 con Robert De Niro e Robin Williams.
2 intervista di Arun Rath a Orrin Devinsky, per www.npr.org, 30 agosto 2015.
