QUESTIONE ISIS: QUANDO LA PRECISIONE NON È MAI ABBASTANZA

Dal 13 novembre non si parla d’altro.

Stato Islamico, ISIS, Medio Oriente, attentati e terrorismo sono all’ordine del giorno di ogni media italiano. Siccome la questione è molto delicata e complessa, Nastorix ha deciso di intervistare una ricercatrice che si occupa esattamente delle dinamiche politiche mediorientali, per chiarire quantomeno alcuni punti che, purtroppo, trovano poco spazio nell’informazione generalista.

Per la nostra redazione interviene la Dott.ssa Arianna Angeli, laureata in Relazioni Internazionali e Cultore di Diritto Costituzionale Comparato presso l’Università degli Studi di Milano. Dottoranda in Diritto e Scienze Umane presso l’Università degli Studi dell’Insubria.

Cerchiamo di far luce su quello di cui tutti parlano: cos’è l’ISIS? Dove nasce? Perché?

Lo Stato Islamico (IS) è un’organizzazione terroristica che controlla oggi parte del territorio della Siria e dell’Iraq. Il gruppo, nato originariamente con la denominazione di Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS), il 29 giugno 2014 si è autoproclamato Stato islamico (IS), sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi, con l’obiettivo di istituire un “califfato globale”.
Tra le ragioni che si ritengono alla base della nascita del movimento terroristico:

  • l’intervento militare in Iraq da parte degli Stati Uniti. Nel 2003, infatti, a seguito delle accuse di possedere armi chimiche, gli Stati Uniti sono intervenuti militarmente in Iraq, rovesciando il regime di Saddam Hussein(Seconda Guerra del Golfo).  Le accuse, tuttavia, si sono dimostrate prive di fondamento e l’intervento militare ha profondamente destabilizzato il Paese, portandolo sull’orlo della guerra civile. Nei mesi successivi alla fine della guerra, infatti, il governo sostenuto dagli Stati Uniti ha incontrato una forte resistenza, da parte di esponenti legati all’ex regime baathista e di miliziani fondamentalisti più o meno legati ad al-Qaida.
  • La guerra civile in Siria. L’insieme delle proteste e dei sollevamenti, comunemente noti con il termine di “Primavera Araba” ha investito anche il Paese guidato da Bashar al-Assad. La scarsa credibilità delle aperture del regime, nel 2011, ha rafforzato le opposizioni e la situazione degenerata in una vera e propria guerra civile. Il sostegno delle potenze straniere alle diverse fazioni dei “ribelli” ha ulteriormente aggravato l’instabilità dell’ordinamento. È in questo consenso che si colloca la nascita dell’ISIS. Si ricorda tuttavia, che questi ultimi rappresentano una sola delle fazioni che in Siria si oppongono al regime di Assad e che riceve il sostegno di al-Nusra, ovvero il braccio militare in Siria di al-Qaida.

Come mai la presenza di cellule terroristiche IS è così presente in alcuni Stati Europei (come Francia e Belgio) e non in altri?

L’IS è un gruppo che conserva una forte vocazione internazionalista. Oltre alla presenza sul territorio in Siria e Iraq, quale punto di partenza per dare vita ad un califfato globale e che comporta il reclutamento di combattenti tra le popolazioni assoggettate, l’IS si serve di miliziani provenienti da diverse parti del mondo, i cosiddetti foreign fighters, o più semplicemente, dei mercenari. Non è difficile in questo modo colpire al di fuori del proprio territorio e fare transitare i singoli terroristi da un Paese all’altro.
Per quanto concerne la scelta di colpire proprio Parigi, si ricorda il ruolo storico della Francia, insieme alla Gran Bretagna, sia nel periodo coloniale, che in quello post coloniale.
Con gli accordi Sykes-Picot, al termine della Prima Guerra Mondiale, il territorio dell’Impero Ottomano è stato del tutto arbitrariamente ripartito in sfere di influenza, tra Francia e Gran Bretagna, venendo meno agli impegni presi nel corso del conflitto, di dare vita ad un unico Stato arabo. I Paesi che ne sono risultati non solo erano privi di una qualsiasi identità nazionale, ma erano oltretutto caratterizzati da una composizione etnica-religiosa fortemente disomogenea.
La Francia, insieme alla Gran Bretagna, si è resa oltretutto colpevole del rovesciamento del regime di Gheddafi , che ha portato ad una tragica situazione di guerra civile che permane dal 2011.
Anche in Libia, in assenza di un’entità statuale forte, è possibile constatare la presenza dell’IS, così come in Nigeria, Mali e più recentemente anche in Asia.

Cosa c’è di diverso, soprattutto politicamente, rispetto agli attentati di Londra e Madrid firmati al-Qaida?

Gli attentati del 2004/2005 e del 2015 sono in realtà molto diversi.
L’impressione – e ci tengo a sottolineare che di un’impressione si tratta – è che è l’obiettivo perseguito sia in certo senso opposto.
Ci sono differenze molto evidenti in relazione al mandante (al-Qaida/IS), al tipo di obiettivo prescelto (mezzi di trasporto/luoghi di divertimento), ed alle modalità di svolgimento (esplosione/esecuzione sommaria).
Ma la differenza principale è di natura politica e strategica. Se gli attacchi a Londra a Madrid erano finalizzati a dissuadere i due Paesi dal continuare a sostenere coalizione guidata dagli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan, terrorizzando le rispettive popolazioni (obiettivo in un certo senso raggiunto con riferimento alla Spagna alla vigilia delle elezioni), gli attentati del 2015 sembrano mirare all’obiettivo opposto, ovvero a provocare una reazione ed un intervento militare.
Le ragioni sembrano essere le stesse emerse da diversi mesi e sottolineate da numerosi osservatori: la mancanza di sostegno popolare per il califfato - nei territori sotto il proprio controllo e in quelli in cui potrebbe potenzialmente espandersi - rende necessaria la creazione di un “nemico comune”, contro il quale coalizzarsi. Ne discende la costante ricerca del confronto diretto con l’Occidente, affinché le popolazioni locali si sollevino contro l’ordine stabilito.

Credi che la reazione dei mass media italiani e i vari allarmismi lanciati rispecchino un rischio reale di una minaccia per il nostro Paese?

Tra le cose che si possono rimproverare maggiormente ai media italiani - e non solo - c’è forse la scarsa empatia nel trattare un tema delicato come quello degli attentati terroristici.
Gli attentati sono una pratica diffusa nel mondo contemporaneo, tanto che in molti Paesi rappresenta la quotidianità. Nell’assicurare la massima copertura mediatica agli attentati di Parigi, e ignorando quasi completamente quelli avvenuti il giorno prima in Libano, i media riflettono nella maniera più chiara possibile il totale disinteresse per tutto quello che esce dalla propria quotidianità e che non rappresenta un rischio concreto per la propria vita.
Il che, oltretutto, spinge a formulare visioni distorte della realtà, come il costante richiamo “conflitto di civiltà”: parlare di un conflitto di civiltà tra Occidente e Islam appare insensato il giorno dopo che lo stesso mandante ha colpito un Paese membro della Lega araba, come il Libano.
Soprattutto se si considera che il quartiere colpito è una delle roccaforti di Hezbollah, movimento islamista, ma antagonista dell’IS.

La storia, come credo la politica, ha spesso dell’imprevedibile. Ma, se riesci, potresti azzardare un'ipotesi (per darci una visione a breve termine) di quello che potrà accadere da qui all’estate del 2016 a livello di assetti politici mondiali?

Se una sorta di accordo è stato raggiunto tra Russia e Stati Uniti, sul sostegno ad Assad in questa fase del conflitto, finalizzato alla sconfitta del califfato, che porti all’avvio di una transizione liberal-democratica in una fase immediatamente successiva, molte sono le incertezze che rimangono sul futuro politico del Paese.
È possibile che nel breve periodo si arrivi alla sconfitta di un nemico, l’IS, che l’Occidente ha più o meno indirettamente armato e finanziato. Se non venissero tuttavia rimosse le cause che hanno portato alla sua affermazione non è da escludersi che fenomeni analoghi si ripetano in futuro (come è stato nel passaggio da al Quaeda all’IS).
Il worst-case scenario, che rimane però ampiamente probabile in questa fase, è che il proseguimento degli attacchi aerei della coalizione internazionale provochi situazioni di “consolidata instabilità”, come è avvenuto in Iraq e Libia, senza la possibilità che emerga un vero e proprio vincitore dagli scontri.

 

 

Ringraziando la Dott.ssa Angeli per l'intervista, mi scuso personalmente della ridondanza di link presenti nell'articolo. Tuttavia, essendo una intervista che ha il compito di informare davvero chi è interessato ad andare oltre alla "censura" mediatica italiana, ho trovato opportuno dare la possibilità a chi vuole effettivamente andare fino in fondo alla questione, di poter ampliare la propria conoscenza delle vicende geopolitiche che stanno forse per sempre cambiando anche la nostra società.

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