Come ti trucco la pubblicità

Le fashion blogger e i brand più o meno noti si dovranno preparare al peggio: la pubblicità occulta sui social entra nel disegno di legge Concorrenza in seguito alle pressioni fatte con un esposto dell'Antitrust e dall'Unione Nazionale Consumatori. La notizia, che ha chiuso il mese di giugno passando tuttavia per molti in sordina, riguarda l'introduzione di una voce specifica relativa proprio al product placement non dichiarato ad opera di fashion blogger, youtubers, star ed influencer per promuovere marchi e prodotti. La Camera dei Deputati ha infatti approvato il nuovo testo del Ddl che, essendo stato modificato,  deve ora tornare al Senato: si tratta del quarto passaggio dopo oltre 800 giorni (il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato la prima bozza il 20 febbraio 2015).

Quello che è importante sottolineare, come ricorda Massimiliano Dona, presidente dell'UNC, è che i post sui social con i prodotti in primo piano "sono assimilabili ad un product placement non dichiarato e quindi illegale: la cosiddetta pubblicità occulta, infatti, non essendo immediatamente percepibile dai consumatori come tale, è ingannevole" e aggiunge "il diritto dei consumatori che viene leso è quello alla trasparenza, alla correttezza, ad una adeguata informazione". Tecnicamente, per altro, gli scatti in questione potrebbero già essere segnalati all'Antitrust, siccome il Codice del Consumo vieta le pratiche commerciali ingannevoli (ad esempio quando la presentazione complessiva induce il consumatore ad acquistare un prodotto, magari anche omettendo informazioni rilevanti di cui il potenziale acquirente ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale), inclusi tutti i casi in cui non è dichiarato l’intento commerciale della pubblicazione.

Entrando nel vivo della questione, prendiamo come esempio un selfie di Melissa Satta su Instagram, con un focus particolare su t-shirt e borsa ma con la semplice descrizione Date night - pic by @prince09 (il marito Boateng) con tanto di commento tagliente di un utente: "falla vedere meglio che così non si capisce che marca è la borsa". Da quello scatto sono trascorsi poco più di sei mesi ed ora la Satta è diventata una fashion blogger d'eccellenza, con tanto di foto promozionali di prodotti correlate da menzioni e hashtag.  Marco Stancati, docente di Comunicazione per il management d’impresa all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", ha confermato che, questo come altri casi di vip che indossano capi firmati senza precisare che si tratta di vera e propria pubblicità, sì tratta di un vero e proprio  product placement non dichiarato. Tuttavia si tratta di pubblicità occulta più che di pubblicità ingannevole, già  sanzionabile anche per l'ordinamento giuridico italiano. Il product placement invece, insieme appunto alla pubblicità occulta, non ha attualmente una normativa univoca in Italia, se non per quanto riguarda il Testo unico1 che dal 2010 regolamenta la pubblicità radio/televisiva.

Con il nuovo testo del disegno di legge Concorrenza finalmente anche l'Italia inizierà a considerare anche i social network privati e blog di influencer, fashion blogger, youtubers e vip come canali mediatici a tutti gli effetti. Infatti, per quanto riguarda i social e il web in generale, è già da tempo che le pubblicità seguono il Decreto Legislativo del 2 agosto 2007 indicando che il contenuto è sponsorizzato o promozionale. Ma questo passaggio è avvenuto all'interno dei social stessi, per allinearsi alle normative europee. Quel che manca in Italia, come in molti Paesi d'Europa, è appunto una regolamentazione chiara sulle varie pagine personali.

Esistono tuttavia due casi molto noti a cui si sono ispirati gli onorevoli nella riscrittura del disegno di legge Concorrenza italiano.
Innanzitutto sono state riprese le stesse regole indicate negli Stati Uniti dalla Federal Trade Commission, in seguito al richiamo della Warners Bros2 proprio sul fenomeno dei contenuti sponsorizzati non in modo chiaro ed evidente. L'Onorevole Sergio Boccadutri (seguendo le linee stese da Massimiliano Dona) lo scorso 29 giugno ha proposto i primi limiti, validi anche per vip, youtubers e fashion blogger:
• la dicitura “sponsorizzato” deve essere chiara, facilmente visibile e comprensibile dai consumatori
• l’indicazione del contenuto sponsorizzato deve avvenire in due modi: jingle o etichetta
• l’etichetta “sponsorizzato” deve essere ben distinguibile e non inserita vicino a loghi o altri elementi visivi in modo da creare confusione
• l’etichetta deve essere inserita anche in streaming video e deve essere facilmente visibile e udibile
• l’etichetta deve essere presente in qualsiasi comunicazione pubblicitaria su Internet e non può essere cancellata
• la dicitura deve essere scritta nella lingua dei consumatori-target e in tutte le altre lingue dei Paesi in cui la campagna social è veicolata
• la comunicazione deve essere conforme ai requisiti in ogni mezzo di fruizione
specificando che nel nostro ordinamento non esiste una disciplina che regoli l'attività dei web influencer e che, in particolare, stabilisca norme che i soggetti proprietari dei social network, o delle piattaforme di video sharing, devono rispettare per evitare che i consumatori non possano riconoscere che trattasi di sponsorizzazione, impegnando il Governo a valutare l'opportunità di un intervento legislativo affinché l'attività dei web influencer sia regolata, permettendo ai consumatori di identificare in modo univoco quali interventi realizzati all'interno della rete internet costituiscano sponsorizzazione.
Il passo successivo potrebbe essere prendere spunto dal Regno Unito, dove la Competition and Markets Authority ha richiamato circa 40 celebrità e 15 imprese per aver indotto in errore il pubblico con pubblicità indiretta su social network. E, per porre fine alla cosiddetta unlabelled advertising, ossia la pubblicità senza etichetta, l’agenzia governativa che tutela la concorrenza nel Regno Unito, ha chiesto di inserire l’hashtag #ad che indica advertising (pubblicità) oppure contenuto sponsored by.

Insomma, seppur lentamente, stiamo forse riuscendo ad allinearci a livello internazionale anche su temi che l'Italia ha sempre gestito lentamente e con modalità proprie. Non per nulla la pubblicità, con la sua importanza su una serie infinita di cose tra cui usi e consumi che vanno a influire e costruire la nostra stessa società.


1 Già decreto legislativo 44/2010, emanato in ricezione di una direttiva europea e poi integrato nel testo unico che prevede che, all'inizio di un programma e ad ogni ripresa dopo gli spazi pubblicitari va specificata la presenza di spazi promozionali, e a fine programma vanno indicati tutti i brand e i prodotti presenti.
2 L’anno scorso la major, per avere recensioni (solo) positive del videogame in uscita Middle Earth: Shadow of Mord ha pagato con migliaia di dollari diversi influencer statunitensi, tra cui il popolarissimo PewDiePieil cui canale YouTube ha più di 54 milioni di iscritti e tutti i suoi video sono stati visti  più di 14 miliardi di volte. Dopo un’indagine l’Agenzia ha sancito che la Warner Bros, si legge nel provvedimento, ha “ingannano i consumatori, i quali hanno il diritto di sapere se gli influencer online esprimono liberamente i loro giudizi o sono solo dei piazzisti pagati da terzi”.
L’errore contestato alla major è stato il non aver comunicato in modo adeguato agli influencer il modo corretto per annotare la “sponsorizzazione”. Infatti nei video, ha notato l’Autorità, non è stato indicata in modo chiaro e visibile la dicitura “sponsorizzato”.

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