Tuca & Bertie: dalla penna di Bojack nascono amiche piumate

Lisa Hanawalt, la direttrice di scenografia dietro il malinconico capolavoro di Bojack Horseman, ha aperto le ali e spiccato il volo grazie alla sua nuova creazione. Una serie femminile, fresca e piuttosto reale, seppur ambientata in un mondo dove animali, cose e piante sono antropomorfi. Il fatto che le due protagoniste Tuca e Bertie, l’ideatrice Hanawalt e le tematiche affrontate ruotino intorno al pianeta Venere non significa che la serie sia prettamente dedicata alle donne. È forse più allarmante che io, scimmia uomo, mi sia ritrovato in molte delle tematiche affrontate.

Di breve durata, giusto 10 episodi da circa 20 minuti l’uno per questa prima stagione da poco uscita su Netflix. La storia parla dell’amicizia tra la “tucana” Tuca e la “passera” Bertie: la prima estroversa, dinamica e intraprendente; l’altra sensibile, docile e indifesa come un… come un uccellino. Bertie lavora in un ufficio di marketing, ha un fidanzato con cui convive e ha la passione per cucinare dolci. Tuca ha la passione per il bere, le piace divertirsi, fare feste, copulare e non ha un lavoro fisso. Ora vi sfido a trovare i difetti.
Fatto? Ok, ecco la soluzione: il fidanzato di Bertie è un architetto. Lo so, che schifo.

Definito dalla stessa autrice un cartone strano, affronta tematiche che vanno oltre il semplice rapporto tra le due “uccelle” (e da qui in poi prometto che vi risparmio l’abuso di virgolette). Così come abbiamo visto in Bojack, sperando che l’abbiate visto, le vicende quotidiane con cui si interfacciano Tuca e Bertie, tra un lavoro stressante e una ricerca di sé stessi, trasudano realtà tanto vicine allo spettatore da portare a galla un paio di riflessioni più profonde rispetto a ciò che può apparire la serie. Di solito si pensa di gustarsi un cartone animato per il solo piacere del’intrattenimento e della risata, senza troppi pensieri o senza andare nel profondo. Non saprei dire se sono io che ho problemi mentali esagerati, immaginandomi mondi che non esistono dietro facciate costruite ad arte per far cogliere solo chi vuole davvero vedere queste particolarità. Forse dovrei smetterla di costruirmi castelli in aria, soprattutto perché avrei bisogno di un architetto e quindi no grazie. Ma chi può dirlo quale sia davvero il messaggio che vogliono trasmettere certe opere, a parte i creatori stessi ovviamente. Siccome non ho voglia di contattare personalmente la Lisa (o più probabilmente non sarei in grado di farlo) per chiederle il vero volto del suo show, o quello che credo voglia essere l’aspetto umano della serie, mi limito a pensare che Tuca & Bertie possa trasmettere più che una semplice risata.

Il cartone è stato definito per adulti perché si vedono le tette di Tuca. Questa frase non ha senso e quindi la riporto volentieri. Sappiamo tutti che le tette sono lo strumento che unisce qualunque generazione, dall’infante al vecchietto. Forse è stata categorizzata per adulti anche per certe tematiche che affrontano scelte importanti nella vita, come l’andare a convivere col proprio partner, fare le corna al proprio partner, denunciare una molestia, smettere di bere o più semplicemente decidere che il proprio lavoro fa schifo il cazzo e che forse è meglio cambiare aria. Però per me rimane un cartone animato, quindi adulti o meno dovreste godervelo finché è in giro.

Che altro potrei aggiungere sul cartone che non sembri un trattato filosofico pallosissimo come l’appena stilato articolo? Tre cose: 1, mi scuso per la digressione psicologica ma come vi ho accennato ho dei grossi problemi mentali, per non parlare del fatto che lavoro a stretto contatto con gli architetti; 2, le tette di un tucano potrebbero essere usate come strumento di marketing solo in Giappone, quindi è la prima volta che abuso della parola tette senza fini di sponsor; 3, guardatela che male non vi fa. Anzi, potreste arrivare ad avere un pensiero molto più originale e (sicuramente) migliore del mio trattato pseudo-gastro-psico-filo-ponderoso.

E comunque fa ridere.

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