Facebook è ormai diventato il social network più utilizzato da tutto il mondo e adesso per poter trovare argomenti interessanti bisogna districarsi un labirinto di boiate intergalattiche. Forse neanche ve lo ricordate ma, una volta, non era così. In questo articolo vogliamo provare a capire il perché ormai Facebook sembra essere abitato soltanto da malati di mente.
Facciamo un passo indietro e ritorniamo alla vera storia della nascita di Facebook, al cruciale momento 0 dove un social network era, finalmente, alla portata di tutti. In questo periodo storico la rete non aveva ancora social funzionali al 100%, basta ricordarsi di Fotolog o Myspace, social network con una loro funzionalità specifica in quanto blog, fotografici nel primo caso, musicali nel secondo, ma molto statici in quanto tutto era solo una facciata dove il lato “sociale” veniva quasi completamente lasciato in mano alla chat di MSN: “Ehi ho visto il tuo MySpace ti va di parlare un po’ su Messenger?” In fondo questo tipo di social network rispecchiavano al meglio quello che poteva succedere nel mondo reale: si usciva, le persone si mostravano più o meno per quello erano e, se incontravamo qualcuno che parlava di cose interessanti o semplicemente che era carina/o, ci si scambiava il numero di telefono. E via di messaggini, squilli e, in alcuni casi, farfalle nello stomaco a go go. Insomma una sorta di vita 2.0 in versione beta.
Facebook, nascendo, riuscì subito a unire questi due mondi fino ad allora separati di chat e facciata. E fin qui tutto bene: da un punto di vista di comodità non dovevamo più gestire piattaforme, applicazioni e cellulari contemporaneamente, avevamo finalmente un piccolo mondo dove potevamo gestire tutte e tre le cose, insomma, per i tempi che erano, una bella comodità! Da bambino era come l’equivalente di un salotto virtuale, dove oltre a chattare e vedere le foto altrui, video e notizie rimanevano sullo status esclusivamente come link. Da ciò, se cliccavi, davi per scontato che la persona che lo postava era “fidata”, e quindi che sicuramente condivideva determinati tuoi interessi. Non correvi insomma il rischio di cascare in articoli e pagine di dubbio gusto o con grandi bufale.
Ma, procedendo con ordine e seguendo la crescita di Facebook, non possiamo fare a meno di notare che, entrando nell’adolescenza è sì migliorato, a livello di cura di sé stesso, tanto quanto ha iniziato ad avere le tipiche crisi psicologiche dell’età cadendo persino nel mondo del trash. Oggi infatti non possiamo fare a meno di avere a che fare con una gran quantità di articoli (spesso condivisi e ri-condivisi) di dubbio gusto.
Tornando però all’infanzia, un altro dato importante è che, il piccolo Facebook, non aveva pubblicità. Quando eravamo sulla home eravamo liberi da banner orrendi, spesso fuori luogo e da altre cose simili. Insomma, era una piccola oasi di piacere, forse sì già leggermente perverso, dove potevi esclusivamente sapere quello che facevano gli altri. Ricordiamo poi che non esistevano ancora le pagine e, quello che le sostituiva (attualmente ulteriore immondezzaio di pubblicità), erano i gruppi: essi vivevano grazie alla fantasia o all’esigenza del singolo, quindi restavano abbastanza privi di quel fascino promozionale, su cui ora sembra vivere questo social. Ma anche in questo caso, cos’è l’adolescenza se non l’autopromozione di sé stessi, veri o finti che ci si ponga?
Le foto difficilmente venivano messe in home page. Tu avevi il profilo e poi ti andavi a vedere le immagini del tuo interessato. Poco contava quindi quel continuo postare selfie per far vedere "quanto sei figo" in continuazione. Se proprio volevi essere cagato, dovevi scrivere uno stato interessante, e questa è una cosa molto difficile da risolvere con una semplice ora al giorno in palestra.
In molti staranno già pensando “è vero ma prima era molto complicato, non era immediato lo scambio e le cerchie di conoscenze, erano ristrette, quindi era molto più elitario eccetera eccetera.” Questo è innegabile ma anche che, a meno funzionalità, corrispondeva un utilizzo più semplice del social network stesso. Pensiamo ad esempio com’erano i commenti di una volta: lo stato già di per se aveva un limite di battute e anche le risposte non aveva tutte quelle funzioni e opzioni che troviamo oggi. Ad esempio non c’era modo di mettere un like a una risposta, di rispondere a una risposta, di appiccicare stickers ovunque e questo obbligava ad una sorta di democrazia tale per cui, una volta creato lo status, chi era interessato doveva per forza commentare. Ogni risposta era di uguale importanza, ogni persona parlava a tutti gli altri riferendosi allo stesso status o rispondendo ai commenti evitando di andare così fuori tema. Su un solo stato potevamo vedere una lunga catena che somigliava a un dialogo tra tante persone, e non un’accozzaglia di risposte e di persone che parlano di tutt’altro. Abbiamo appena citato gli stickers: prima, se ben ricordate, c’erano due o tre emoticons simili a quelle standard di MSN. Niente gif, niente video e, soprattutto, nessuna immagine poteva essere introdotta come commento. Insomma se volevi dire la tua dovevi scrivertelo da te, non potevi salvarti con la classica foto o meme trite e ritrite che omologano tutti. C’era anche una sorta di categorizzazione della persona in base al suo ruolo social. Prendiamo come esempio il classico amico con commento da Capitan Ovvio: una volta che ti eri preso tale titolo, eri automaticamente fuori dalla discussione. Facebook non ammetteva che qualcuno si infilasse a forza in un discorso e ciò migliorava alla grande la qualità di ogni singolo stato.
Ma la cosa forse più importante dell’infanzia di Facebook è che, ancora ingenuo, non era per nulla smart. O meglio, non potevi portartelo fuori di casa. Alle sue origini, come un qualsiasi bambino piccolo, era pensato esclusivamente come una piattaforma casalinga. Al massimo potevi portarlo con te in università, e usarlo con il portatile. Perciò ogni persona aveva la sua vita, lavorava, studiava, vedeva gli amici e, finita la giornata, andava a vedere cosa era successo nella giornata dei vari conoscenti. Il fatto che non fosse portatile lasciava spazio a un mondo reale che interagiva meglio con gli altri sia nel quotidiano che nel virtuale.
Un esempio? La chat era divisa in pallini verdi e gialli, questo significava che le persone erano davanti al computer, oppure erano al computer ma stavano facendo altro. Ma questi colori andavano ben oltre: chi aveva il puntino verde era come se volesse comunicare di aver voglia di chiacchierare e poco importava se lo avevi visto mezza volta in vita tua. Se era lì in quel momento, tu potevi parlarci liberamente, perché sapevi che era seduto davanti al computer in quell’attimo in cui anche lui non aveva niente di meglio da fare. Questo fatto non è da sottovalutare, se pensiamo che adesso invece la funzione chat di Facebook funziona (anche appunto grazie alla nascita degli smartphone) esattamente come un sms, e che quindi, potenzialmente, puoi essere sempre disturbato e soprattutto non sai quando una persona è realmente al pc o no. Tutto questo ha portato all’annullamento completo dello spazio nel quale puoi o non puoi disturbare perché, dopotutto, uno ormai ci va pure in bagno con l’iPhone. L’altra ovvia conseguenza è che la chat ha perso valore, non ci si scrive quasi più per raccontarsi o per conoscersi, ma spesso il tutto viene dilatato nel tempo con risposte domande veloci, e quando si risponde poco importa: tanto abbiamo il telefono in tasca.
Stessa cosa vale per post o foto: prima, non disponendo di un dispositivo portatile, si evitava di passare intere serate a fotografare il cibo o a scrivere banalità. Se proprio volevi immortalare il tuo piatto cinque stelle al ristorante, dovevi fare una foto e correre a casa per caricarla (solo il gesto vi da l’idea di quanto la cosa adesso vi sembri da psicopatici) Stesso discorso per gli status: ogni scritta doveva essere relativamente ponderata, perché per arrivare al computer dovevi come minimo essere a casa, nel peggiore dei casi alzarti dal letto e questo escludeva status impulsivi alla “minchia interrogazione a sorpresa speriamo non mi chiami” o “fila in Valassina chi me l’ha fatto fare.” Detto questo, il piccolo Facebook era un piacere che ti concedevi solo quando eri a casa ad annoiarti ed era un lusso leggermente voluttuario poter scrollare le pagine per vedere i commenti e pochi link.
Insomma, caro bambino Facebook: ci manchi. Una volta eri semplice, sincero e non pompato di steroidi come adesso, eri una piazzetta di persone che si scambiavano pareri e interessi, e non un centro commerciale di tamarri. Eri la salvezza degli insonni, delle persone influenzate e dei timidi. Eri un mondo quasi perfetto ma sei, come tutti, cresciuto troppo in fretta e gli ormoni ti hanno dato alla testa.
