La nascita della Dittatura (1925) e “Il delitto Matteotti” (1973)

 

Nel pomeriggio del 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti viene rapito, mentre cammina verso Palazzo Montecitorio. Nonostante i testimoni, le indagini, la pressione esercitata dai giornali, dalla pubblica opinione e dalle interrogazioni parlamentari, il corpo viene ritrovato casualmente dopo oltre due mesi dal giorno della scomparsa. La sua morte ne definisce la statura, sia politica, sia morale, come la più alta nel rappresentare l’opposizione a Benito Mussolini e determina la trasformazione del Fascismo da movimento politico a Regime. In un periodo nel quale i segnali liberticidi sono ben visibili, il Deputato dei Socialisti Unitari ha utilizzato lo scranno di cui disponeva nella maniera più forte. Per questo le parole di Filippo Turati risultano ancora oggi limpide ed ineccepibili: “il più forte, il più degno, il più atrocemente colpito”; a parere di chi scrive anche "il più lucidamente lungimirante". A questo punto, però, due domande sorgono immense: tale attitudine era davvero così rara? Come mai solo Giacomo Matteotti si è opposto al clima teso di quel tempo, quando l’eliminazione fisica dell’avversario era considerata possibile non soltanto dai fascisti? Sia subito chiaro che nessuno nega i soprusi perpetuati contro gli antigovernativi e gli antifascisti durante la campagna elettorale del 1924, ma è pure vero che essi corrispondono solo ad una parte della Storia. Difatti, nel primo anno di attività il Governo Mussolini - formato da una coalizione di fascisti, popolari, liberali e nazionalisti - approva una serie di leggi finalizzate a ridefinire le Stato Sociale: ne traggono beneficio lavoratori, donne, minori, anziani ed invalidi; dalla fine della Grande Guerra è la prima volta che ampi strati della popolazione iniziano a sentirsi tutelati. Inoltre, nell’area socialista alcuni indicano nelle altre opposizioni la causa del disastro economico vissuto in precedenza dal proletariato e, nell’area liberale-popolare, altri cominciano a condividere la necessità di una vera stabilità politica. Pertanto, Mussolini trova la strada in discesa nel far approvare la Legge Acerbo al fine di rendere il Fascismo una componente di maggioranza nel Parlamento. A tale atteggiamento - double face - la risposta dei partiti democratici è debole e favorisce proprio chi non avrebbe dovuto; alcuni esponenti liberali, infatti, entrano nella Lista Nazionale e gli altri gruppi politici non fanno fronte comune. Senza contare la grande novità consistente nell'utilizzo politico della radio, i cui messaggi in favore del “Listone” raggiungono l'intero territorio nazionale.

Comunque, il 30 maggio Matteotti prende la parola alla Camera per contestare i risultati elettorali del 6 aprile precedente. Sebbene urla e fischi lo interrompano più volte, egli denuncia in modo fermo le illegalità e gli abusi commessi: “(…) Contestiamo (…) la validità delle elezioni. (…) L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. (…) Per vostra stessa conferma dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà. (…) Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse.

I giorni successivi al rapimento vedono crearsi un clima di indignazione nei confronti del Governo, che coinvolge anche i popolari ed i liberali, i quali rassegnano le dimissioni. Esemplificativo appare il comunicato emesso dai Socialisti Unitari: “L'autorità politica assicura solerti indagini per consegnare alla giustizia i colpevoli, ma la sua azione appare totalmente investita dal sospetto di non volere, né potere colpire le radici profonde del delitto, né svelare l'ambiente da cui i delinquenti emersero.” Se al Governo viene confermata la fiducia, i parlamentari dell'opposizione danno inizio alla Secessione aventiniana. Mussolini ne approfitta e fa approvare i nuovi regolamenti restrittivi per la Stampa, come l'obbligo di nominare un direttore responsabile per ciascun giornale. Seguono mesi di tensioni e di un continuo braccio di ferro, durante i quali il Governo sembra quasi sul punto di cadere. Poi, nel mese di dicembre il quotidiano Il Mondo pubblica la confessione di Cesare Rossi (già Responsabile dell’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio) che accusa il Capo del Fascismo di essere il mandante dell’Omicidio. Al contrario dell’aspettativa generale, le dimissioni non vengono presentate: anzi, il 3 gennaio 1925 Mussolini respinge l'accusa di un coinvolgimento diretto e sfida i Deputati a tradurlo davanti alla Suprema Corte. Si assume ogni responsabilità del Delitto, esclusa quella penale: “Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il Fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.” Così, è nata la Dittatura.

A quasi cinquanta anni di distanza (1973) esce nei cinema “Il delitto Matteotti” (*) di Florestano Vancini, che raffigura il Capo del Governo come il mandante diretto (nella foto, Franco Nero nei panni di Matteotti). Per onestà intellettuale, però, bisogna considerare che, se la confessione di Cesare Rossi viene considerata veritiera, lo stesso valore deve essere assegnato alla "rivelazione" del giornalista Carlo Silvestri (ultimo intervistatore del Duce: 120 ore di colloqui nel corso di una cinquantina di incontri), quando afferma che nel 1943 Giovanni Marinelli, mentre era rinchiuso nel carcere di Verona insieme a Tullio Cianetti ed a Carlo Pareschi, si è assunto la completa responsabilità della morte del Deputato di Fratta Polesine (RO).

Il film risulta pregevole per l'accurata ambientazione storica, il ritmo incalzante e la caratura degli interpreti, sia principali, sia secondari, perfetti nella fisionomia e nella resa dei dettagli caratteriali. La struttura narrativa corre su due binari: il primo, quello della difficile indagine, svolta da un giudice non allineato, rallentata dai depistaggi e dalle intimidazioni; il secondo, quello politico, in cui Mussolini prevarica i suoi avversari, ritratti come uomini non proprio all'altezza del loro tempo.

Quasi certamente non conosceremo mai nulla di nuovo sulla verità storica; quella giudiziaria, però, è ben nota da decenni: in nessuno dei tre processi è stata accertata la responsabilità diretta di Benito Mussolini, sebbene tutti gli imputati siano stati esponenti o sostenitori del P.N.F.

Altri film sul tema: "Il delitto Matteotti" (1956) di Nello Risi.

(*) "Il delitto Matteotti" - Regia: Florestano Vancini - Cast: Franco Nero, Mario Adorf, Umberto Orsini, Vittorio De Sica, Renzo Montagnani, Gastone Moschin - Sceneggiatura: Florestano Vancini - Genere: Drammatico, Storico - Durata: 120 minuti.

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