Il primo giorno dell’estate 1943 l’Italia è una, ha un Re (Vittorio Emanuele III) e un Primo Ministro (Benito Mussolini). Il primo giorno dell'autunno dello stesso anno è, invece, spaccata in due: nel Centro-Nord si è costituita la Repubblica Sociale Italiana, nel Centro-Sud il Regno del Sud. Quest’ultimo costituisce la continuità politica ed amministrativa del Regno d'Italia, dopo la firma dell’Armistizio con gli Alleati e lo spostamento dell’attività del Governo da Roma a Brindisi. Sulla Repubblica Sociale, invece, si contrappongono ancora oggi alcune analisi ben diverse tra loro, figlie delle ideologie di chi le sostiene: c’è chi vede in essa, sia l’ultimo baluardo in difesa dell’onorabilità della Nazione, macchiata dal “tradimento” del Re nei confronti del Fascismo e del Terzo Reich, sia la soluzione idonea onde evitare che il Nord venisse raso al suolo dalla furia germanica; c’è chi sostiene che essa rappresenti l’ultima fase sanguinaria di un Regime morente; c'è chi, infine, la considera uno Stato fantoccio nelle mani di Hitler, interessato ad avere manodopera a bassissimo costo e copertura delle spese di occupazione militare. Ogni visione contiene una parte di verità: sebbene l'esistenza della Repubblica di Salò abbia di fatto impedito la distruzione di intere città e paesi, le responsabilità storiche restano ben evidenti (recrudescenza della persecuzione degli ebrei, azione di repressione e di sterminio contro i civili che offrivano sostegno ai partigiani, fucilazioni dopo processi sommari, torture mortali ai nemici caduti prigionieri). Il Duce ed il nuovo Partito Fascista Repubblicano auspicano di tornare concretamente all'ideologia iniziale, quella rivoluzionaria, sovversiva, antiborghese ed antimonarchica, ma mancano il tempo e le risorse economiche: la proclamata socializzazione delle imprese, ad esempio, non vede la luce. Soprattutto quello che manca è un Governo effettivo ed autonomo: sono, infatti, le autorità militari tedesche a gestire ogni azione politica ed amministrativa. Nonostante questi aspetti, gli arruolamenti volontari raggiungono numeri notevoli: gli Storici parlano di oltre a 800.000 unità. Nei diciannove mesi successivi al settembre 1943 la Guerra, che ha già portato nelle case lutti, sofferenze e privazioni, vive il suo periodo peggiore. Sulla sua conclusione nell’aprile 1945 esiste un film diretto da Carlo Lizzani che merita di essere guardato con attenzione per l’accuratezza della sceneggiatura e dell’ambientazione: uscito nelle sale cinematografiche nel 1974, “Mussolini ultimo atto” (*) narra gli ultimissimi giorni di vita di colui che ha determinato il destino della Penisola per oltre vent'anni. Tutto il Cast è di ottimo livello e la statura interpretativa degli attori principali impreziosisce il tragico racconto degli eventi: da Rod Steiger (Mussolini) a Lisa Gastoni (Claretta Petacci), da Henry Fonda (Cardinale Schuster) a Franco Nero (Walter Audisio).
La regia è molto misurata, attenta, precisa - quasi avesse nella documentazione il principale obiettivo - ma si attiene ovviamente alla versione ufficiale; è ormai ben chiaro che Mussolini non sia morto come raccontato dai libri di Storia, sebbene su tale evento esistano zero certezze, molteplici ipotesi, tanti punti oscuri. Di certo Benito e Claretta hanno trascorso l’ultima notte in una stanza della Casa De Maria situata nella frazione di Bonzanigo (CO) e molto probabilmente non sono stati uccisi davanti al cancello di Villa Belmonte a Giulino di Mezzegra (CO). Esistono testimonianze che invalidano le dichiarazioni dell'autore dell’esecuzione, il partigiano Valerio; inoltre, egli stesso è più volte caduto in contraddizione con se stesso. Una scena memorabile del film è quando i due prigionieri vengono condotti nella Casa De Maria: mentre l'uomo di Predappio (FO) appare sfinito, finito, privo di carisma e di qualunque potere, la contadina che li accoglie ha uno sguardo carico di timore e di soggezione nel vedere nella sua umile dimora colui che era stato non solo per lei il Duce.
Certamente l’eliminazione di Mussolini senza un regolare processo ha determinato due principali conseguenze. La prima ha evitato agli italiani di fare i conti con il proprio passato, a differenza dei tedeschi con il Processo di Norimberga (1945-1946). La seconda ha creato una frattura, ancora non sanata, con il successivo macabro spettacolo dei corpi appesi per i piedi in Piazzale Loreto a Milano.
Il Comitato di Liberazione Nazionale e le classi dirigenti dal dopoguerra in poi, distingueranno sempre gli italiani dai fascisti (come se quest’ultimi fossero stati extraterrestri arrivati chissà da dove); in ordine temporale il primo fra questi è stato forse il Maresciallo Pietro Badoglio, (passato da capo di stato maggiore generale delle Forze Armate fasciste a Capo del Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato antifascista) a delineare i tratti dell’assoluzione del popolo e della rilettura del passato. Un esempio? Ecco la sua descrizione di Piazza Venezia il 10 giugno 1940: “Un pecorume inquadrato tra gerarchi e scagnozzi del partito, aveva l’ordine di applaudire ad ogni parola del discorso, ma, finita la funzione, la folla si disciolse per conto proprio in un silenzio assoluto.” Qualcuno forse si starà domandando quali responsabilità possano essere attribuite ai milioni di cittadini comuni che hanno vissuto durante il Ventennio: quelle di aver creduto ai sogni di gloria, taciuto, voltato la testa da un'altra parte, aderito al Partito Nazionale Fascista pur di ricevere un lavoro, una promozione, una casa popolare. So già che qualcun altro sarà pronto ad obiettare che sia stata la paura ad obbligarli a fare tali cose. Ebbene, lo invito a guardare la scena in cui lo studente ebreo Davide Lattes (interpretato da Rupert Everett) viene cacciato dall'Università di Ferrara nel film "Gli occhiali d'oro" (1987) di Giuliano Montaldo, del quale ho già parlato nell'articolo Gli Anni del Consenso (1925-1940) e "Una giornata particolare" (1977); oppure a domandarsi come mai nel 1924, quando la Dittatura non era ancora immaginabile, solo l'Onorevole Giacomo Matteotti abbia denunciato il clima di quell'epoca: è assai probabile che, se lo avessero sostenuto altri 50, 60, 70 Deputati, Egli non sarebbe diventato il facile bersaglio della barbarie fascista.
Per concludere, ecco uno spunto di meditazione. Se Benito Mussolini è stato arrestato mentre tentava di fuggire travestito da soldato tedesco, Adolf Hitler si è ucciso nel suo bunker. Questo aspetto mi sembra già di per se sufficiente ad inquadrare l’indole di un’intera popolazione.
Altri film sul tema: "Il generale Della Rovere" (1959) di Roberto Rossellini, "La lunga notte del 43" (1960) di Florestano Vancini, "Claretta" (1984) di Pasquale Squitieri.
(*) "Mussolini ultimo atto" - Regia: Carlo Lizzani - Cast: Rod Steiger, Lisa Gastoni, Henry Fonda, Franco Nero, Giacomo Rossi Stuart, Lino Capolicchio - Sceneggiatura: Carlo Lizzani, Fabio Pittorru - Fotografia: Roberto Gerardi - Musiche: Ennio Morricone - Costumi: Ugo Pericoli - Genere: drammatico-storico - Durata: 135 minuti.

Da Riccione col furgone.