Sarei dovuta andare in Transilvania con il mio amico Taro. Taro viveva a Londra e io a Cracovia: quel viaggio avrebbe dovuto essere più che altro un modo per stare insieme, ma all’ultimo lui aveva dovuto disdire per problemi familiari. Del resto, non era certamente la prima volta che viaggiavo da sola in un paese straniero.
Certo ero un po’ triste inizialmente, e la terra di Dracula non mi rasserenava con i suoi enormi e gonfi grappoli di nuvole che pendevano oscuramente su Cluj Tapoca, come se la volessero ingoiare. L’ostello era completamente vuoto quel giorno di febbraio e il giovane alla reception aveva una bellezza delicata e sinistra. “Ci sei solo tu oggi”, mi informò con un sorriso ambiguo. “Sei sola in camera. Starai davvero tranquilla stanotte, non sentirai nessuno e nessuno sentirà te”. Percepii una certa divertita minaccia nelle sue parole. Scelsi il letto che dava sulla chiesa di fronte, con il crocifisso in bella vista, pur non credendo né ai vampiri né, soprattutto, al Cristianesimo. Stremata dal lungo viaggio notturno in autobus dalla Polonia, mi addormentai quasi istantaneamente. In quella mezz’ora scarsa di sonno fui tempestata da sogni rapidi e inquieti, e al mio risveglio notai una goccia di sangue sul mio cuscino. Sapendo di non essere vergine da un po’ di tempo e facendo appello al mio buonsenso sorrisi di me stessa, non prima però di essermi concessa il lusso di un istante di frivola e segreta credulità. Cluj Napoca era tenebrosa ma accogliente, i liquori transilvani che mi feci offrire dal receptionist e che consumai poi a cena in un piccolo ristorante locale, insieme ad abbondanti porzioni di verze e di aglio, erano abbastanza forti da offuscare qualunque sentimento di paura, abbandono o tristezza.
Capii presto che il modo migliore per muoversi era BlaBlaCar, molto popolare in Romania per via dell’inefficienza e della lentezza dei trasporti pubblici. Il primo viaggio da Cluj Napoca a Sibiu fu muto e uggioso come il cielo che si ostinava ad imbronciarsi sopra di noi: in macchina c’erano quattro uomini rumeni che non profferivano parola, limitandosi a fissare la strada con cupa pensierosità. Dopo aver trascorso tre giorni a Sibiu e a Brazov, mi accordai per il secondo passaggio, da Sibiu a Timisoara.
Questa volta eravamo solo ragazze. Attingendo al proprio inglese scolastico, le rumene si sforzavano di interagire con me: il fatto che una giovane italiana fosse capitata proprio lì in Transilvania, per turismo, e soprattutto il fatto che questa italiana fosse completamente sola, le incuriosiva enormemente. “Ma perché tu che vieni da un paese così bello sei qui?”, mi chiese la più spigliata, una venticinquenne dall’espressione un po’ macabra, forse dovuta in buona parte ai suoi due canini superiori, sottilissimi e taglienti, che fendevano l’aria ogni volta che apriva la bocca. “Perché no? La Romania è un paese interessante. Tutto il mondo è interessante”, risposi. “Ma non hai paura a viaggiare da sola?”, continuò la ragazza, i canini che riflettevano due luci pallide nel buio dello specchietto retrovisore. “Perché dovrei?”, feci. “La maggior parte della gente vuole solo stare tranquilla. In qualunque posto del mondo che non sia troppo sofferente ho più o meno la stessa probabilità di incorrere in un guaio. Ed è un rischio che prendo comunque volentieri”. La ragazza tacque per qualche minuto. I canini si chiusero in un sipario di labbra scarlatte, molto truccate, di una tonalità appena più leggera della notte. Poi riapparvero, accendendosi come due minuscoli lampioni. “Beh, credo che tu sia completamente pazza”, decise a voce alta. “Sì, sei pazza. Decisamente. Ho paura di te. Non è che ci uccidi?” Le ragazze scoppiarono in una risata unanime e fragorosa. Mentre rideva, i canini della venticinquenne creavano una danza spigolosa di luci nello specchietto. “E tu lì dietro non è che mi addenti il collo?”, pensai, ritrovando con una punta di piacere il fantasioso brivido innocente che avevo provato a Cluj Napoca. Il fatto che nella terra di Dracula fossi incappata proprio in un’affascinante giovane dai canini aguzzi non poteva essere solo una coincidenza, mi sarebbe piaciuto pensare.
Le ragazze mi lasciarono davanti all’ostello di Timisoara: una villetta sbilenca e decadente in un lago di erba incolta, con murales colorati alle pareti. Un posto certamente incantevole in un bel pomeriggio estivo, un tantino depresso e inquietante in quella tarda sera di febbraio. “Non avevo mai incontrato un’italiana prima. Non uccidere nessuno”, mi salutarono i canini della ragazza, scheggiando la notte in un ultimo squillante bagliore. “Nemmeno tu”, le risposi con un sorriso, mentre una ventata calda e nera usciva dalla porta dell’ostello che qualcuno stava aprendo per me.
