Una notte nel deserto di Masada

Apro gli occhi, li stropiccio. Il sole mi fa male, anche se sono già quasi le sei di sera. Mi sembra di essere stata tolta dal mondo che conosco e di essere finita in una caldissima cartolina tridimensionale fatta di sabbia, di rocce e di cielo, in cui niente si muove. La mia amica tedesca mi saluta con un sorriso: "Dormito bene? Siamo già arrivate a Masada, tesoro".
Scendiamo dal bus. La leggendaria Masada è davanti a noi. Da lontano si vede il Mar Morto, immobile e congelato nel tempo, una striscia di azzurro fuso.
"Cosa facciamo per stanotte allora?", chiedo guardandomi intorno: oltre alla terra e alle rocce ci sono un ostello, che sappiamo essere scandalosamente caro, la fermata del bus, un paio di edifici, un piccolo centro commerciale. Nient'altro. "Ci accampiamo qua vicino da qualche parte, così domattina prestissimo saliamo a Masada".
L'unico essere vivente che incontriamo è il tizio all'ingresso del parco di Masada. "Dove dormite voi due stanotte?", ci interroga in inglese fissando sospettoso la tenda che la mia amica tiene in una borsa. "Da alcuni amici che dovrebbero venirci a prendere in macchina", mente lei con noncuranza. Le sono molto grata, perché io non riuscirei mai a mentire con uno sguardo tanto deciso e tanto innocente insieme. "Vieni, cominciamo a cercare dove dormire prima che faccia buio", dice poi a me in tedesco.
Ci incamminiamo verso il Mar Morto. Anche se è sera fa molto caldo e finiamo quasi tutta l'acqua che ci siamo portate dietro. "Dobbiamo trovare un posto ben nascosto", rifette a voce alta la tedesca. "E se la polizia ci fa storie?". "Beh, parliamo solo in tedesco e se necessario ci mettiamo a piangere. Tu sei brava a piangere".
Ci accorgiamo presto che non abbiamo motivo di preoccuparci: dopo un paio di chilometri, alla nostra sinistra, appare una vastissima distesa di terra secca e frantumata in mezzo alle monumentali rocce del deserto, con un cartello che ci informa che è permesso campeggiare lì - ma a nostro rischio e pericolo, perché potrebbero esserci serpenti e scorpioni. Serpenti e scorpioni sono l'ultimo dei nostri problemi: accogliamo la notizia con sollievo.
Facciamo una passeggiata e poi piantiamo la tenda dove il terreno ci sembra ragionevolmente solido. Intanto la notte sta calando su Masada. L'ultima volta che ho visto tante stelle insieme è stato nella campagna del Quebec, in Canada, due anni fa. Siamo solo noi due, il deserto e le stelle. Il silenzio è tanto intenso e totale che fa quasi male alle orecchie. Ci sdraiamo nella tenda con la testa fuori. Per qualche minuto non parliamo, guardiamo le stelle e basta. A me le stelle son sempre piaciute, lo dico a voce alta. "Ti fanno sentire insignificante, vero. Tutta la tua vita sembra futile, vero?", chiede la mia amica. "Esattamente". "Musica?". "Direi di sì. Hai i Pink Floyd?". Lei sorride. Il suo sorriso è triste e desolato come il paesaggio che ci circonda. "Certo, erano i preferiti di mio padre". "Metti 'Shine on you, crazy diamond' per favore". "Subito".
Per un po' non parliamo. Ascoltiamo i Pink Floyd e guardiamo il cielo. La mia amica ricomincia a parlare di suo padre, un professore di teologia che si è ucciso tre anni fa. "Vivevo col terrore che si suicidasse. Ma si è suicidato alla fine, quindi ora vivo in pace", dice. Il suo viso è serio, ma colgo una forza e una dignità nel suo atteggiamento che mi stupiscono. "Mi spiace per tuo padre". "Odio quando la gente dice di essere depressa", continua lei. "La depressione è una patologia. Non è uno stato d'animo. Mio padre era depresso e l'unica cura possibile era il suicidio. La gente dice di essere depressa, ma in realtà è solo triste". Guarda le stelle di nuovo. Mi parla del suo ragazzo, un brasiliano trentenne col cancro che minaccia continuamente di suicidarsi. "Il mio destino è essere circondata da aspiranti suicidi. Non ne posso più. Forse è vero che ogni donna cerca il proprio padre nell'uomo che ama però. Mia madre mi capisce". La ascolto in silenzio mentre cerco di assorbire ogni sua parola. Ci conosciamo appena da dieci giorni ma parliamo come se ci conoscessimo da sempre. La ragione per cui questa ragazzina mi piace è che è sincera e autentica, ma ora siamo da sole in mezzo al deserto. E' ancora meglio. Il deserto è contro ogni menzogna. Amo il deserto. Maschere e trucchi non hanno ragione di esistere nel deserto. "Mi piace essere qua con te", le confesso. "Anch'io sono contenta di essere qua con te". "Devo pisciare. Spero che nessun serpente mi morda il culo". La mia amica ride. "Lo spero anch'io. Non muoio dalla voglia di succhiarti il veleno dalle chiappe". "Ti immagini gli israeliani se un serpente mi morde il  culo e la notizia esce sui giornali? Si sganascerebbero dalle risate". "Riderei anch'io". "Io no però, se il culo è il mio". Esco per pisciare lo stesso, dopo aver fatto molto rumore coi piedi ed essermi assicurata che non ci sono serpenti nei paraggi.
Mettiamo le scarpe nella tenda per paura di trovarci degli scorpioni al nostro risveglio. Il terreno è durissimo sotto il nostro materassino e comincia a fare freddo, ma cerchiamo di dormire lo stesso: tra poche ore dobbiamo scalare il Sentiero del Serpente fino a Masada. L'immobilità che ci avvolge ci fa pensare che siamo le uniche due coscienze rimaste nell'universo, e che non esistano più né vita né morte. E' decisamente una bella sensazione.

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