PAZZO, PAZZO BOB'S CAFE

Era stato Madhi, il cuoco indonesiano, a farmi riottenere il mio lavoro come cameriera e barista al Bob's cafè, quando tornai a Sydney dopo un anno e mezzo. Il proprietario del locale, un giovane serbo gentile ma dedito alle droghe, era sempre assente perché gestiva altre attività commerciali più redditizie. Di conseguenza, trascorrevo i miei turni di lavoro in settimana con Madhi o con uno degli altri cuochi squilibrati che si susseguirono in quel posto, e il sabato con una cameriera alcolizzata che si presentava al mattino con le mani tremanti e l'umore instabile per via dei postumi, a volte dopo avermi molestata in piena notte con telefonate inopportune, biascicanti e totalmente incomprensibili, di cui non conservava mai alcun ricordo.

Tra i vari cuochi che ebbi modo di conoscere al Bob's cafè, un canadese si fece internare volontariamente due volte in seguito ad una crisi di nervi avvenuta in pieno orario lavorativo, che si manifestò nel primo caso con un improvviso e irrefrenabile impulso a lanciare fette di prosciutto per la cucina, e la seconda volta con un pianto isterico apparentemente immotivato, che rese necessaria la chiusura temporanea del locale. Il canadese venne licenziato dopo che, una notte, si introdusse nel ristorante per rubare tutti gli introiti della giornata e comprare anfetamine, lasciando un illeggibile biglietto di scuse nella cassa vuota e un disegno tracciato con mano febbrile e maldestra per "recuperare i guadagni, eventualmente, con una vendita dell'opera presso la Galleria d'Arte". Il fijiano che lo sostituì fu invece allontanato perché sbraitava e tirava i piatti alle cameriere quando non riusciva a decifrare la loro calligrafia sugli ordini, e venimmo a sapere poco tempo dopo che era deceduto tragicamente in seguito ad una caduta dal tetto di casa sua e che aveva riempito il nostro ripostiglio di erba. Il terzo cuoco che venne assunto come assistente di Madhi veniva dalla Mongolia, mangiava esclusivamente carne e beveva tè verde con un cucchiaino di sale, sostenendo che fosse un rimedio miracoloso per la salute. Un giorno, semplicemente, smise di venire al lavoro. Non scoprimmo mai cosa fosse successo, anche se la risatina nervosa e colpevole di Madhi ci fece pensare che lui ne sapesse qualcosa.

Di tutto il personale del Bob's cafè, il più matto era indubbiamente Madhi. Si presentava al lavoro con almeno un'ora di ritardo tutti i giorni, lasciando la cucina completamente scoperta, perché riteneva che la rigidità di orari, tipicamente occidentale, uccidesse la fantasia e la spontaneità della vita, che lui voleva a tutti i costi salvaguardare. Il nostro capo lo licenziava regolarmente per via dei suoi cronici ritardi, e regolarmente lo riassumeva dopo pochi giorni, dimenticando il motivo e forse il fatto stesso di averlo licenziato. Il timoroso e insicuro Madhi, che parlava con voce flebile senza mai guardare il suo interlocutore in faccia, era soggetto a bruschi e ingiustificati episodi di rabbia, durante i quali non rivolgeva la parola alla cameriera di turno per intere giornate, me inclusa, e impediva l'ingresso in cucina a chiunque, con insulti e aggressioni verbali. Aveva fatto amicizia con un'anziana signora del quartiere, dalla voce molto roca e dagli occhi spalancati e immobili, completamente inespressivi, che la facevano somigliare ad uno stupido pesce decrepito. La signora visitava il ristorante solo quando c'era Madhi, perché lui non aveva il coraggio di rifiutarle sigarette e pasti gratuiti. Amava torpiloquiare contro gli stranieri perché li considerava pericolosi concorrenti al suo sussidio di disoccupazione, dimenticando che Madhi stesso era indonesiano e che la sua condizione, in quel momento, era di clandestino irregolare su suolo australiano, impiegato illegalmente. Un giorno, per ricambiare la generosità di Madhi, gli portò un paio di orribili scarpe rosse, usurate e terribilmente maleodoranti, che doveva aver trovato in un cassonetto della spazzatura, e pretese dal suo accomodante amico "solo" venti dollari in cambio, che lui sborsò senza discutere.

Tra i nostri clienti più affezionati c'erano le professioniste del bordello di fronte, che ordinavano la colazione di prima mattina, appena terminato il loro turno di lavoro. Ogni tanto entrava qualche poliziotto in pausa pranzo, e in quelle occasioni Madhi spariva dalla cucina con un'agilità e una silenziosità straordinarie. Una mattina vennero a interrogarci perché a poche decine di metri dal locale, la notte precedente, era avvenuto un omicidio. Più volte, dal nostro bancone, vedemmo fiumi di spacciatori e vagabondi sfollare in preda al panico nella nostra via, perché le forze dell'ordine stavano compiendo l'ennesima retata nello stradone parallelo, conosciuto in tutto il paese come "Junkie road".

Lavorai per quasi sei mesi al Bob's cafè, in occasione del mio secondo e ultimo soggiorno in Australia. Al Bob's cafè perfezionai l'arte di decorare la schiuma dei cappuccini, di improvvisare colazioni alla meno peggio in attesa che comparisse Madhi, di conversare con disinvoltura con prostitute, piedipiatti, tossicomani, psicolabili e intellettuali, cambiando registro e argomenti a seconda delle circostanze. Quando lasciai Sydney, Madhi venne a salutarmi all'aereoporto. Aveva gli occhi rossi, piangeva. "Mi spiace essere così pazzo, sono un pessimo collega e amico", sussurrò porgendomi un pacchetto. Lo scartai quando ero già sull'aereo: erano un paio di mutandine nere che credevo di aver smarrito nella lavatrice comune quando ero stata ospite a casa sua, i primi tempi. "E' stato bello, mi mancherai", diceva il biglietto. Mi affrettai a nascondere la biancheria nello zaino, prima che i miei incuriositi vicini la vedessero.

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