Cari ascoltatori, vi dico solo questo: che Dio vi benedica! Quanto a voi bastardi al potere, non sperate che sia finita! Anni che vanno, anni che vengono e i politici non faranno mai un cazzo per rendere il mondo un posto migliore! Ma ovunque nel mondo, ragazzi e ragazze avranno sempre i loro sogni e tradurranno quei sogni in canzoni...
(Il Conte – I love Radio Rock)
Le trasformazioni culturali che iniziarono a permeare la società inglese dai primi anni 60' si espansero rapidamente nel Paese portando in dote non solo una rivoluzione epocale, ma anche un pesante carico di contraddizioni che finì per debordare da ogni lembo di costa del regno. L'Inghilterra, che come la maggior parte dell'Europa stava uscendo dai difficili anni della ricostruzione post-bellica, vide, già prima degli anni 60', una frizzante ripresa economica che l'avrebbe eletta come naturale guida della rivoluzione del costume che finì per influenzare i successivi decenni del XX secolo. I giovani iniziarono a rivendicare il diritto di essere giovani e la musica, che in quel periodo concludeva il processo di commistione tra le ballate tradizionali e il rock'n'roll d'oltreoceano, fece il resto. Dalla pop art alla moda delle minigonne, dal Cavern Club a Carnaby Street, dai Beatles ai Rolling Stones, passando per Kinks, The Who, Animals, Yardbirds, Small Faces, Manfred Mann e un'inifinità di altri artisti: la “Swinging London” rappresentò tutto questo e, miscelando modernità ed edonismo, traboccò ben presto oltre i confini nazionali. Il terremoto musicale che sconquassò le abitudini dei giovani inglesi, divenendo epicentro della loro vita sociale e della loro problematica esistenziale, non fece invece perdere l'equilibrio alle emittenti radiofoniche e all'establishment politico.
Il panorama radiofonico dell'epoca era limitato infatti a tre canali radio della BBC che mandavano in onda soltanto i gruppi musicali delle grandi case discografiche e che, sulla base di ancestrali regolamenti, non trasmettevano la musica pop più di una misera manciata di ore al giorno. La diga fuori dal tempo eretta dalla vecchia emittente non avrebbe tuttavia retto per molto l'onda d'urto che si stava abbattendo sull'intera società. L'impossibilità di ottenere spazio nei programmi della BBC, spinse Ronan O’Rahilly, un giovane irlandese titolare di una piccola etichetta indipendente, a cercare un'altra soluzione. Dato che le stazioni radio della terraferma perdevano facilmente sintonia con la lunghezza d'onda della società, O'Rahilly, ispirandosi ad esperienze radiofoniche di alcuni paesi del Nord Europa, comprese che dal mare sarebbe stato più facile trasmettere la musica che i giovani volevano ascoltare. A supportare l'intuizione del giovane Ronan c'era anche la legislazione della terraferma: oltre poche miglia dalle coste infatti questa veniva superata dalla legge del Paese in cui era registrata l'imbarcazione e così era possibile raggiungere le frequenze della terraferma in maniera legale. Individuato la strumentazione adeguata e il mezzo (nel caso specifico la MV Fredericia, una nave passeggeri danese battente bandiera panamense), Ronan O’Rahilly diede così vita a Radio Caroline.
La pellicola che meglio rimanda al clima dell'epoca e che romanza l'epopea della radio pirata britannica è “The Boat That Rocked” (I Love Radio Rock) del regista inglese Richard Curtis. Nel film, “quattro brutti ceffi su una nave di merda” trasmettono musica 24 ore al giorno, dalle acque internazionali, ancorando gli orecchi di un'intera generazione alla frequenza di Radio Rock. Le esilaranti avventure dei personaggi della pellicola non si discostano di molto da quelle vissute dai veri “pirati” di Radio Caroline. Fin dal suo lancio infatti, avvenuto nel 1964 sulle note di Not fade Away dei Rolling Stones, la radio ebbe un enorme successo e i suoi DJ divennero popolari quanto le star dell'epoca. Pagati a birra, sigarette e qualche sterlina, questi incarnarono appieno quella leggerezza di vivere che migliaia di giovani sulla terraferma tanto agognavano. Finirono ben presto per essere sommersi dalle lettere dei loro ammiratori e uno dei DJ sposò (come riportato nel film) a bordo e in diretta nazionale la sua fidanzata. A garantire l'immediato successo della radio pirata non furono soltanto i deejay che sceglievano i vinili ma anche l'innovativo format che venne adottato: oltre ad essere trasmesse pubblicità, cosa del tutto nuova per l'epoca, venivano organizzati giochi a premi, intervenivano personaggi televisivi e del mondo della musica direttamente a bordo e i DJ avevano la possibilità di mandare in onda tutta la musica che volevano. Il successo di questo modello non tardò ad essere replicato e le navi pirata iniziarono a moltiplicarsi.
Dal nord al sud dell'Inghilterra, dall'Irlanda fino alla Scozia: la crescita delle radio pirata fu talmente rapida e la copertura dell'intero Regno Unito così completa che il governo britannico decise di tamponare la situazione prima che finisse fuori controllo. Il 15 agosto del 1967 entrò in vigore il Marine Broadcasting Offences Act: una legge che, proibendo di trasmettere dalle navi e da altre strutture off-shore, metteva fine dalla mezzanotte in poi alla storia delle radio pirata. Scoccata la mezzanotte del 15 agosto, mentre le voci delle varie radio pirata sprofondavano per sempre nell'oblio, a bordo di Radio Rock (del film di Curtis) “Il Conte” lanciò un'ultimo grido di speranza e mandò in onda Wouldn't It Be Nice dei The Beach Boys. Riproposizione cinematografica, quasi fedele, di quanto accadde quella notte sul canale 199 dove Ronan O’Rahilly non si congedò dai suoi ascoltatori con i Beach Boys ma, dopo aver semplicemente esclamato: “Radio Caroline continua!”, fece partire All you need is love dei Beatles. Radio Caroline non si inabissò quella notte nel gelide acque del Mare del Nord ma proseguì silenziosamente la navigazione fino all'ormeggio definitivo, di lì a poco superata dalle radio della terraferma che nel frattempo avevano imparato la lezione dei “pirati” e si erano adattate alla lunghezza d'onda dei Sixties.
